Una foresta di mangrovie alle isole SeychellesDifendere e proteggere le mangrovie dal rapido declino, causato dalla deforestazione e dal veloce cambiamento climatico. È questo l’obiettivo del progetto di tesi di Dottorato di Marco Fusi, giovane ricercatore della facoltà di Agraria della sede di Piacenza, svolta in co-tutoring con le Università degli Studi di Milano e di Firenze, rispettivamente sotto la supervisione dei professori Daniele Daffonchio e Stefano Cannicci. Il progetto infatti punta alla salvaguardia delle mangrovie grazie all’approfondimento di alcuni aspetti chiave delle loro funzioni, al fine di ricavarne dati utili per la conservazione e pianificazione di un utilizzo sostenibile.

Tra le foreste più produttive al mondo, le mangrovie riescono ad assorbire gas serra dall’atmosfera in maniera più efficiente di molti altri ecosistemi terrestri. Oltre a rappresentare un’importante risorsa per le popolazioni umane, proteggono le coste da calamità naturali e dall’erosione del mare. Non solo. Fungono da veri e propri filtri naturali poiché catturano sostanze nocive all’ambiente, imprigionandole nei fanghi costieri ed evitandone la dispersione a mare. Da questo punto di vista giocano un ruolo fondamentale vicino a metropoli come Mombasa in Kenya, Port Harcourt in Nigeria, Douala in Cameroon, Dar Er Salaam in Tanzania e altre decine di grandi città che, vivendo un incontrollato sviluppo demografico e cittadino riversano sulle coste enormi quantità di reflui e contaminanti, senza il minimo controllo o trattamento.

Eppure, negli ultimi venti anni le mangrovie sono state dimezzate soprattutto a causa delle urbanizzazioni e dello sfruttamento internazionale delle risorse naturali (fauna ittica e legno). Ciò ha provocato drastiche conseguenze sulla fauna marina, determinando la  scomparsa di zone costiere per motivi erosivi e di insabbiamenti. E, in casi drammatici come quello dello tsunami nell’Oceano Indiano del dicembre del 2004, una mancanza di protezione che è costata la vita a centinaia di migliaia di persone.

La tesi di dottorato che sta realizzando Marco Fusi s’inserisce in un contesto internazionale co-finanziato dal programma di ricerca europeo Marie Curie. Si tratta del progetto Crec (Coastal Research Network on Environmental Changes), al quale partecipano anche altri atenei internazionali: Rhodes University - South Africa, Inecol - Mexico, Ulb Universitè Libre de Brussels - Belgio, Tu Technische Univeritat Dresda - Germania, University of Queensland – Australia, Ufpa xxx – Brasile, Smithsonian Institut Serc – Usa.

«La potenzialità di questo programma – spiega il professor Ettore Capri, dell’Istituto di Chimica Agraria della Cattolica e responsabile della tesi di dottorato – sta  nel fatto che offre un’importante occasione per lavorare, da un lato, in un team internazionale, dall’altro, permette un confronto attivo, formativo e costruttivo con le comunità locali al fine di implementare un sistema di conoscenza condivisa per stilare piani d’azione concertati ed efficaci. In particolare, il progetto si occupa dell’effetto combinato del riscaldamento globale e degli inquinanti sull’ecologia e la fisiologia su alcune specie di fondamentale importanza per il funzionamento della mangrovia. Lavorare in modo così integrato ci permetterà di proporre azioni concrete alla comunità internazionale basate su principi di rischio e dal punto di vista scientifico ottenere scoperte uniche in ambienti così poco esplorati».

Lo studio di Marco Fusi prevede un’analisi comparata di più sistemi di mangrovie in  Sud Africa, Messico e Florida e Kenya, dove la missione è stata effettuata lo scorso bimestre agosto-settembre. «L’esperienza in Kenya è stata fondamentale per capire quanto sia importante la conservazione di una buona foresta di mangrovia – racconta il ricercatore -. Il villaggio di pescatori di Gazi, a pochi kilometri a sud di Mombasa, la città portuale più importante dell’Est Africa, offre un esempio di pesca sostenibile. Nei due mesi di lavoro sul campo ho avuto l’opportunità di osservare come la comunità di pescatori, proteggendo ogni giorno la foresta con l’uso di tecniche di pesca tradizionale, riescono a ottenere una grande quantità di pescato, cosa che non è vera per esempio nei mangrovieti più depressi dei luoghi contaminati di Mombasa, dove reflui da attività portuali e discariche urbane incontrollate sono riversati ogni giorno in mare».

«A Gazi – continua Fusi -, grazie all’attività incessante di alcuni ricercatori come il professor James Kairo, che da anni si batte sulla riforestazione delle mangrovie, si sono venuti a creare numerosi gruppi di lavoro che coinvolgono molti giovani locali che, oltre a essere impegnati in progetti di ricerca internazionali, come il Crec, si battono in un’assidua campagna informativa nelle scuole primarie, coinvolgendo l’intera comunità in progetti di eco-turismo e gestione consapevole delle foreste».