Fiducia, coraggio, partecipazione. Queste le parole chiave attraverso cui si è articolato il confronto tra Università e mondo del lavoro durante l’ottavo Laris Day sul titolo: “Università, sviluppo territoriale e occupazione: quali prospettive per i laureati?”. Il Laboratorio di ricerca e intervento sociale (Laris), diretto da Enrico Maria Tacchi, docente di Sociologia, coniuga sin dalla sua nascita impegno accademico e attenzione verso la realtà sociale del territorio bresciano in cui si situa. Il consueto appuntamento annuale è occasione di incontro tra ricercatori, esperti e cittadini. Il 14 novembre l’attenzione è stata posta sull’occupazione giovanile. A partire dalle sollecitazioni della relazione introduttiva del professor Giancarlo Rovati, direttore del dipartimento di Sociologia e curatore del Rapporto sulla sussidiarietà 2012/2013 Sussidiarietà e.. neolaureati e lavoro, il dibattito è stato animato dagli interventi dei principali rappresentanti del tessuto economico bresciano: Paola Artioli, vice presidente Aib, Responsabile Area Education; Paolo Foglietti, vice presidente Confcooperative Brescia; Eugenio Massetti, presidente Confartigianato; Luigi Morgano, direttore della sede bresciana dell’ateneo; Enzo Torri, segretario generale Cisl; Massimo Ziletti, Segretario Generale della Camera di commercio.

 

 

Giancarlo Rovati ha presentato i principali risultati dell’indagine campionaria che ha coinvolto, a quattro anni dalla laurea, 5.750 laureati sul territorio nazionale impegnati in diverse attività lavorative. Lo studio è stato possibile grazie alla collaborazione tra il dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica e il Consorzio Interuniversitario AlmaLaurea. Ma è vero che i laureati italiani sono “schizzinosi”, come disse un ministro? Quanto conta essere protagonisti nel proprio percorso universitario? È veramente importante essere intraprendenti?

I risultati della ricerca smentiscono lo stereotipo del giovane “choosy” e “bamboccione” spesso diffuso mediaticamente. Uno dei dati emergenti, infatti, è l’ampia disponibilità a spostarsi (solo 1 su 4 non sarebbe disposto a impiegare più di 30 minuti per raggiungere il luogo di lavoro) e a trasferire la propria residenza: il 76,5% si trasferirebbe (il 30% all’estero, se fosse possibile). Inoltre, più della metà dei laureati si presenta altamente adattabile alle esigenze del mercato del lavoro. La preoccupazione della maggior parte dei laureati non è il “posto fisso”, ma la crescita professionale.

Le strategie messe in campo dai laureati che hanno uno status occupazionale più soddisfacente includono l’intraprendenza durante il percorso di studi, relativa in particolare alla partecipazione a stage e tirocini in Italia ma soprattutto all’estero, la propensione all’innovazione, l’adattabilità, il sostegno dell’Ateneo, attraverso i servizi di placement e orientamento, il capitale sociale (reti famigliari, sociali, associative), la “forza” del titolo di laurea e la sua spendibilità, e - non da ultimo - le competenze realmente acquisite.

I rappresentanti delle istituzioni bresciane hanno posto l’accento sulla situazione drammatica del mercato del lavoro italiano, segnato dalla crisi economica e dalla necessità urgente di risanamento: i dati preoccupanti devono condurre a un ripensamento organizzativo e non ad un rassegnato declino.

Ciò che emerge dal dibattito è l’esigenza, avvertita da tutti gli attori in campo, di fare sistema e rafforzare il legame università-lavoro, condividendo il processo sin dalle prime fasi dell’orientamento e della programmazione, salvaguardando le responsabilità e funzioni di ciascuno. Per uscire dall’impasse di questa delicata fase storica è necessario investire nelle competenze e nelle capacità di ciascuno e della rete stessa. Per poter far questo servono coraggio e fiducia, ma è ancora possibile ridare la speranza ai giovani, e con essi al nostro Paese, solo stando insieme e ragionando come sistema sussidiario. In tutto questo c’è anche il giovane: motivato e appassionato, disposto a investire nella propria professionalità.

Fiducia, coraggio, partecipazione: i giovani universitari, riprendendo le parole di Foglietti, da beni privati devono essere considerati un bene collettivo. É il sistema che deve investire su di loro, non più unicamente i singoli.