Dopo la “grande recessione” del 2008-2009 molte prospettive sono cambiate per l’Italia, le sue aziende e il suo sistema bancario. In un’Europa in generale rallentamento tre importanti fattori caratterizzano la situazione italiana: il forte calo della domanda domestica; una conformazione delle imprese non adatta, in larga parte, a uscire dai confini nazionali; infine un sistema bancario lontano dall’essere di portata internazionale. La buona notizia è che, nonostante le condizioni non favorevoli, le esportazioni italiane hanno tenuto duro grazie all’attrattiva del made in Italy: per questo puntare al soddisfacimento della domanda estera rappresenta una scelta «obbligata» per l’impresa nostrana. Ma come raggiungere tale obiettivo? È uno dei principali quesiti dell’ultimo Osservatorio monetario curato dal Laboratorio di analisi monetaria, diretto dal professor Marco Lossani (nella foto sotto), in collaborazione con l’Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa (Assbb), e presentato il 3 dicembre in Università Cattolica a Milano.

Marco LossaniNel processo d’internazionalizzazione le dimensioni contano, come spiegato dal professor Simone Moriconi, e questo è il primo ostacolo che si frappone fra il sistema produttivo nazionale, composto in prevalenza da “micro” imprese, e la conquista di una sua dimensione internazionale. Penetrare all’estero significa assumersi più rischi e sostenere costi più elevati. È perciò più probabile che siano aziende grandi, produttive e finanziariamente sane a intraprendere questa sfida. Purtroppo, anche sotto quest’ultimo profilo l’indebitamento medio delle Pmi italiane è superiore del 20% rispetto a quelle europee. Inoltre, forti vincoli al credito (accentuati dal credit crunch degli ultimi anni) hanno un peso specifico superiore sull’export rispetto a quello sul mercato interno, come emerge dallo studio di Maria Luisa Mancusi.
  
Ma questi aspetti critici riferiti allo status delle imprese non sono certo gli unici: l’altro attore fondamentale di questa ricerca è il sistema bancario cui le aziende si riferiscono. In particolare, secondo la professoressa Brunella Bruno, esiste una correlazione fra il grado di operatività estera del sistema bancario e quello delle imprese. Il che rappresenta un’ulteriore debolezza in uno scenario come quello italiano, in cui solo un gruppo bancario (Unicredit) può davvero dirsi fortemente radicato all’estero. Una situazione probabilmente destinata a non cambiare, visto che dal 2009 le acquisizioni di banche estere da parte di quelle italiane hanno subito un drastico rallentamento.

Eppure non si può che augurarsi un aumento nel sostegno proattivo da parte della banca nel sostenere le imprese nel loro affacciarsi ai mercati internazionali, assumendo la veste di “consulente di fiducia”. Ciò è tanto più necessario quanto più sono ridotte le dimensioni dell’azienda. Le indicazioni dell’Osservatorio monetario non risparmiano anche un appello alla politica affinché si agisca con decisione a favore dell’internazionalizzazione dell’impresa: sia attraverso politiche di formazione delle competenze professionali, sia abbattendo i costi legati all’inserimento nel mercato estero. Puntare alla dimensione internazionale: una necessità, ma anche un’opportunità.