UN PAESE IN CRESCITA - I risultati del rapporto danno conferma delle tendenze emerse negli anni scorsi: si riscontra un tendenziale aumento della popolazione residente in Italia rispetto al biennio 2007-2008, principalmente imputabile alla crescita della componente migratoria. Nel biennio 2008-2009 l’Italia presenta un saldo totale positivo (+6,0‰), frutto di un saldo naturale prossimo allo zero (-0,3‰), e un saldo migratorio positivo (+6,3‰), seppur in diminuzione se confrontato con quello del biennio precedente. In altre parole, la crescita della popolazione nel Paese, è imputabile proprio al movimento migratorio registrato, pur con differenze regionali, in alcuni casi, piuttosto spiccate. Sono molte le regioni che presentano un saldo naturale negativo: tra queste vi sono la Liguria con una popolazione estremamente invecchiata e comportamenti riproduttivi molto contenuti (-5,8‰), il Friuli Venezia Giulia e il Molise (entrambe con un valore pari a -3,1‰): al contrario, i saldi naturali più elevati, si registrano in entrambe le Province Autonome del Trentino Alto Adige e in Campania.

CRESCE ANCHE LA FECONDITÀ - Il tasso di fecondità totale (Tft) si attesta, nel 2008, su un valore inferiore al livello di sostituzione (ossia quello, circa 2,1 figli per donna, che garantirebbe il ricambio generazionale) che è pari a 1,4 figli per donna in età feconda. Continua, quindi, il processo di ripresa dei livelli di fecondità che è iniziato a partire dal 1995 quando il Tft raggiunse il suo valore minimo di 1,2 figli per donna. Tale ripresa è imputabile sia alla crescita (specie nel Centro-Nord) dei livelli di fecondità delle over 30 anni che all’apporto delle donne straniere. Studi dimostrano che l’aumento del Tft registrato tra il 2001 e il 2006 è dovuto, in pari misura, alla crescita della fecondità delle donne con cittadinanza italiana e a quella delle cittadine straniere. Nel 2008 i valori del Tft più elevati si registrano nelle Province Autonome del Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta, dove tale indicatore raggiunge il valore di circa 1,6 figli per donna. Le regioni dove si registra un Tft particolarmente basso (ossia inferiore a 1,2 figli per donna in età feconda) sono Sardegna e Molise.

L’ITALIA CONTINUA A INVECCHIARE E LE PREVISIONI NON SONO ROSEE – Anche il Rapporto 2010 mostra la tendenza all’invecchiamento della popolazione italiana, la quota dei giovani sul totale della popolazione è, difatti, contenuta, mentre il peso della popolazione “anziana” (65-74 anni) e “molto anziana” (75 anni e oltre) è consistente. Complessivamente, la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,3% del totale, e quella dai 75 anni in su il 9,8 del totale. È facilmente prevedibile che si assisterà a un ulteriore aumento del peso della popolazione anziana dovuto allo “slittamento verso l’alto” (ossia all’invecchiamento) degli individui che oggi si trovano nelle classi di età centrali, che sono le più “affollate”. Al tempo stesso, si può supporre che nel futuro prossimo non si registrerà un numero di nascite e/o flussi migratori imponenti tali da contrastare il rapido processo di invecchiamento che si sta delineando visto che le nuove generazioni (ossia coloro che dovrebbero dar luogo a tali nascite) sono numericamente esigue.

AUMENTANO GLI ANZIANI CHE VIVONO SOLI: a livello nazionale oltre un anziano ogni quattro (27,8%) vive solo (+0,7 punti percentuali rispetto al 2007). È in Valle d’Aosta che tale percentuale raggiunge il suo valore massimo (33,4%), mentre valori superiori al 30% vengono registrati anche in Piemonte, nella Provincia Autonoma di Trento e in Liguria. Al contrario, valori contenuti caratterizzano la Toscana, dove la quota di anziani che vivono soli è pari a 23,6%: seguono le Marche (25,3%), il Veneto (25,6%), la Basilicata (25,7%) e l’Abruzzo (25,9%). Solo il 14,5% (nel 2007 tale dato era pari a 13,6%) degli uomini di 65 anni e oltre vive solo, mentre tale percentuale è decisamente più elevata per le donne: 37,5%, contro il 36,9% del 2007.

SPERANZA DI VITA – Tanto per gli uomini quanto per le donne si evidenzia una condizione di migliore sopravvivenza nelle regioni centrali e del Nord-Est. Svantaggiato, invece, risulta il Sud. Per gli uomini si passa da picchi intorno agli 80 anni, in alcune province dell’Emilia-Romagna, al valore di 76,4 anni per Napoli e Nuoro. Differenze notevoli si registrano anche per le donne con il massimo di 85,3 anni per la provincia di Forlì-Cesena, mentre il minimo, ancora una volta, si registra nella provincia di Napoli con 81,8 anni (a pari merito con Caltanisetta). Al 2007 la speranza di vita alla nascita è pari a 78,7 anni per gli uomini e a 84 anni per le donne. Si confermano, quindi, i dati del precedente Rapporto Osservasalute 2009. Dal 1998-2000 al 2007 gli uomini hanno guadagnato, in media, 2,2 anni passando da 76,5 a 78,7 anni. Le donne nello stesso periodo hanno guadagnato, mediamente, 1,5 anni raggiungendo il valore di 84 anni partendo da 82,5 anni. Sia per le donne sia per gli uomini, è il Sud a presentare la situazione di maggiore svantaggio con una presenza elevata di province in cui la speranza di vita alla nascita è inferiore al valore medio nazionale.

DIMINUISCE LA MORTALITÀ – Tra gli inizi degli anni 2000 e il biennio 2006-2007, al netto dell’effetto dell’invecchiamento della popolazione, la mortalità oltre il primo anno di vita è diminuita da 103,5 a 89,8 per 10.000 negli uomini e da 61,3 a 54,5 per 10.000 nelle donne (rispettivamente 13% e 11% di riduzione). Per quanto riguarda la mortalità per le diverse malattie si evidenzia una generale riduzione dei tassi di mortalità sia negli uomini che nelle donne. Il tasso standardizzato di mortalità per le malattie del sistema circolatorio si riduce, significativamente, in pochi anni passando, tra il 1999-2001 e il 2006-2007, da un valore di 40,2 a 31,3 per 10.000 negli uomini e da 27,0 a 21,5 per 10.000 nelle donne. La riduzione dei livelli di mortalità per queste cause avviene in tutte le province e per entrambi i generi sebbene l’intensità di tale variazione sia diversificata sul territorio.
Per i tumori maligni si osserva una lieve riduzione della mortalità da 33,8 a 31,1 per 10.000 negli uomini e da 17,3 a 16,6 per 10.000 nelle donne. Tuttavia in molte province si registrano ancora tassi di mortalità crescenti; tra queste i maggiori aumenti si hanno, per entrambi i generi, a Viterbo e Cremona. Le aree a più elevata mortalità sia per gli uomini che per le donne, sono più frequentemente le province settentrionali del Paese.

LA SALUTE DELLE DONNE – «I dati del Rapporto Osservasalute forniscono un quadro allarmante rispetto alla salute del genere femminile – ha sottolineato Roberta Siliquini, docente di Igiene all’Università di Torino -: il dato storico, che vedeva le donne più longeve e più in salute, sta iniziando a subire delle modificazioni già largamente predette anche dalle passate edizioni del Rapporto Osservasalute. La speranza di vita alla nascita vede un incremento rilevante negli ultimi dieci anni, incremento che tuttavia, contrariamente a quanto avvenuto in passato, è maggiore per il genere maschile (1,1 anno per le donne a fronte di 1,8 per gli uomini). Per di più la popolazione anziana, che per definizione necessita di impegno socio-sanitario, è costituita da un 37% di donne sole e monoreddito. Che la salute delle donne perde terreno si vede anche da altri dati: «Il tasso standardizzato di mortalità per tumore e per malattie del sistema circolatorio (le patologie killer dei nostri tempi) – ha sottolineato la Siliquini – per quanto in riduzione negli ultimi anni, vede ancora il genere femminile svantaggiato dal momento che l’andamento mostra una riduzione molto più forte per il genere maschile». «Tali dati – ha spiegato la professoressa - pur tenendo conto dei dovuti tempi di latenza, non possono non essere correlati a mutamenti comportamentali che, nel tempo, stanno portando il genere femminile ad avere fattori di rischio tipicamente maschili: si pensi all’abitudine al fumo per la quale pare che le recenti politiche abbiamo avuto uno scarso successo sulle donne (percentuali di ex fumatori del 16% per le donne e 39% per i maschi) e alla ridotta abitudine a praticare sport (38% uomini vs 24% donne)». «Inoltre – conclude la Siliquini - esistono ancora rilevanti problemi di prevenzione anche in ambiti strettamente femminili: il dato dell’estensione effettiva dello screening mammografico in Italia è basso, pari al 62% delle donne che dovrebbero fare la prevenzione, per di più con rilevanti differenze Nord/Sud; la percentuale di tagli cesarei è ancora elevatissima (media Italiana sopra il 40%) e tristemente in aumento, malgrado linee guida specifiche ormai diffuse da tempo».