Che cosa pensano i giovani? Che interessi hanno? La fotografia più recente è stata scattata da una équipe di ricercatori dell’Università cattolica che ha condotto una indagine a tappeto su 9mila giovani d’età compresa tra i 18 e i 29 anni. La ricerca, chiamata “Rapporto giovani” seguirà e monitorerà questo ampio campione sociale nei prossimi cinque anni in modo da registrare l’evoluzione dei comportamenti, dei gusti, delle idee e dei valori. L’arco di età consente poi di registrare le differenze di percezioni dei problemi tra chi si affaccia alla condizione adulta iniziando il percorso da studente universitario e chi ha già terminato gli studi ed è entrato nel mondo del lavoro o sta faticando ad ottenere un posto. Le aree di osservazione sono cinque: la relazione con la famiglia, il lavoro, l’autonomia, le istituzioni e la scuola. Una lettura attenta fornisce indicazioni utili a padri e madri, a educatori, e a tutti gli operatori che pensano e orientano le politiche, i servizi, i progetti per il mondo giovanile.

Con la sociologa Rita Bichi e la psicologa Elena Marta, entrambe docenti alla Cattolica di Milano e coautrici del “Rapporto” approfondiamo il retroterra, l’ambiente, la cultura che hanno prodotto le risposte fornite dagli intervistati sul tema della famiglia.

Rita Bichi, docente di Sociologia generale

«Emerge una generazione ancora solida. La grande incognita è il futuro. Finora questi giovani hanno potuto contare su famiglie capaci di risparmiare e di investire, famiglie che hanno acquistato casa, sono riuscite a conquistare una solidità economica, sono andate ad ampliare le fila del ceto medio, molte hanno anche avviato attività in proprio sviluppando il settore delle piccole e medie imprese. Questa situazione ha influenzato positivamente le relazioni con i figli, non esiste un conflitto intergenerazionale come, invece, era accaduto in Italia dagli anni Sessanta in poi. E non si tratta soltanto di assenza di gap genitori-figli, ma anche di scomparsa di conflitti ideologico-culturali.

La figura autoritaria ha abbandonato le famiglie contemporanee dove, al contrario, è più diffuso il dialogo, la partecipazione dei genitori alle attività e agli interessi dei figli. Un piccolo test? La scomparsa del verbo ‘ubbidire’ che sorreggeva un rapporto di soggezione. Tutto questo ha finora fatto da solido retroterra estendendo ai giovani un buon tenore di vita. Non solo, ha assicurato loro la possibilità di prolungare negli anni una condizione di “assistiti/sorretti” e li ha indotti a credere che mai papà e mamma arriveranno a pensare di interrompere loro l’aiuto. Si sentono protetti, al sicuro, fiduciosi nella solidità economica della famiglia e nella solidarietà.

Sguardo positivo, voglia di agire e propensione al cambiamento è presente in percentuale maggiore nei più giovani. Dai ventenni interpellati abbiamo riscontrato forti segnali di resilienza (come oggi si dice per chi reagisce e combatte), di dinamismo e di propensione a voler essere protagonisti del proprio futuro. Si incontrano in questa fascia di età una socializzazione differente e fattori di fiducia personale che fanno immaginare strategie di reazione, di protagonismo e di positività che i loro fratelli maggiori che si avvicinano ai trent’anni hanno perduto dopo il decennio che abbiamo alle spalle. Certo, i ventenni possono sperare di puntare su strumenti difensivi e di attacco ancora da immaginare e hanno il tempo per farlo, gli altri si trovano in piena crisi a tempo scaduto. Tutti però hanno mostrato di non demordere e di lavorare per voltare questa pagina difficile e di volerne scrivere un’altra diversa».

 

 Elena Marta, docente di Psicologia sociale

«La famiglia ha conquistato il primato d’essere luogo di apertura e di scambio (ben il 64,6% esprime accordo con questa affermazione). E non si tratta di un’opinione generica o di una impressione dei ricercatori quanto di una esperienza diretta degli intervistati, sottolineata dalla qualità e dall’articolazione delle risposte: per l’80% la famiglia è di aiuto nell’affermarsi nella vita e l’85% dichiara che la famiglia rappresenta un sostegno nel perseguire i propri obiettivi. Questo significa, e ne abbiamo conferma anche da altri studi condotti di recente, che la famiglia è il primo e più solido ambito di creazione del ‘capitale umano’. Più i genitori sono presenti come figure ‘generative’ e di promozione alla transizione all’età adulta, maggiore è la capacità di relazione e di reazione agli eventi da parte dei figli, ma anche più accentuata diventa l’apertura e la partecipazione alle sollecitazioni del mondo esterno a partire dalle domande della società a quelle della politica. Interessante rilevare che la maggior parte dei giovani impegnati nelle molteplici forme di volontariato hanno alle spalle famiglie dialoganti (aperte/relazionali) rispetto a modelli protettivi/rifugio. La medesima considerazione vale per l’intraprendenza e la presenza attiva nei luoghi di lavoro e di studio dei “Millennials”. E’ una importante indicazione per tutti che tengo a sottolineare: dove la famiglia è riuscita a trasferire ai figli valori sociali, quei giovani avvertono il sociale come un “valore”, un ambito di realizzazione dei propri ideali, della costruzione di una società buona e vivibile attraverso la pratica e l’esercizio di rapporti umani, solidali, partecipativi, relazionali. La società si arricchisce di quelle best practices imparate nel dialogo con i genitori. La ricerca che abbiamo condotto, su questo tema, porta a trarre una conclusione chiara e sorretta dai dati statistici: la famiglia costituisce un soggetto primario fondamentale per lo sviluppo e le speranze future delle nuove generazioni perché riveste un ruolo strategico quanto alla formazione dei protagonisti di domani; svolge una attività insostituibile nella impostazione della personalità dei singoli; occupa un posto delicato nelle istituzioni sociali, trascurarla significa dilapidare un capitale. Da psicologa rilevo una situazione specifica che riguarda la figura del padre, oggi più in crisi rispetto al passato. Al genitore maschio spetta la funzione culturale e simbolica di traghettare i figli nella società. La crisi rende il compito più faticoso e dagli esiti incerti. La precarietà economica eleva poi il grado di indefinitezza. Così i ritardi - come bene mostra anche una ricerca realizzata presso il Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia, coordinata dal professor Vittorio Cigoli - e le difficoltà di traghettamento portano i padri ad assumere funzioni accudenti (caratteristica tipica materna) senza capire bene il da farsi alimentando situazioni di ambiguità, confusione e incertezza. Lo sconforto del padre davanti al futuro si trasferisce nei figli. Il rischio? Che si dilati una condizione di ansia che colpisce soprattutto gli studenti universitari e post-universitari che avvertono o vivono una “sospensione da limbo”. I loro coetanei che hanno scelto il lavoro e sono occupati manifestano più solidità perché hanno affrontato contesti sfidanti, hanno verificato le proprie capacità e sanno come e quanto possono cavarsela e dove è meglio non avventurarsi.

La ricerca oltre ai dati forniti, che sono chiari, importanti e da prendere in seria considerazione, fa capire che se i differenti operatori lavoreranno bene con gli adolescenti si potranno rapidamente recuperare margini di disponibilità e di curiosità giovanile favorendo la costruzione di una nuova idealità».