Dare nuovo slancio alla periferia milanese. È questo uno degli obiettivi del libro Quartieri in bilico. Periferie milanesi a confronto a cura di Laura Bovone e Lucia Ruggerone edito da Bruno Mondadori. Il volume è stato presentato all’Università Cattolica alla presenza degli autori, del professore di storia contemporanea Paolo Colombo e di Maria Rosaria Beccamanzi, dell’ufficio Attività produttive del comune di Milano.

«Questa ricerca – spiega la professoressa Bovone – ci è stata commissionata dal comune di Milano per monitorare la legge 266 del 1997 che obbliga i comuni a finanziare le piccole imprese nei quartieri più disagiati della città». Uno studio partito nel 1996, conclusosi due anni fa e che ha interessato i quartieri Isola, Bovisa, Villapizzone, Corvetto-Rogoredo, Lambrate, Molise-Calvairate e Stazione centrale. Per ogni zona si è cercato di comprendere i motivi del degrado. Tre le cause comuni per tutti i quartieri presi in esame, il disagio e l’identità frammentata, la massiccia presenza di edilizia popolare e gli ampi spazi ex industriali. Le soluzioni per risollevare queste aree possono essere diverse. A partire da interventi architettonici, possibili grazie alle università e ai musei. Ma il motore principale per la riqualificazione è sicuramente la piccola impresa locale e culturale.

«La lotta al degrado nelle periferie – commenta la Beccamanzi – è una scommessa per il nostro Comune. Così, dopo la legge 266 del ’97, abbiamo attivato una serie di iniziative in questo senso. Dopo aver commissionato due ricerche sulle periferie alla Bicocca e alla Cattolica, il Comune ha indetto una serie di bandi per dare agevolazioni economiche a piccoli imprenditori che si impegnino a creare nuove aziende nei quartieri interessati anche i soggetti già presenti sul posto rimangono comunque il nostro punto di riferimento».

Il professor Paolo Colombo si è soffermato sul tema dell’identità di Milano e dei centri urbani. «Milano ha un’identità difficilmente catalogabile – spiega – e molto differente da altri luoghi. Non è una città in cui si può individuare una piazza come suo cuore antropologico. Milano si può definire un agglomerato urbano molto trasformista, con pochi luoghi simbolo in cui ci si può dare appuntamento. Così si torna sempre al luogo comune, sicuramente molto vicino alla realtà, in cui la città meneghina ha come suo tratto distintivo il lavoro».