Migliorare la salute di chi lavora, tutelandola dai rischi, anche psicologici. Far fronte alle rinnovate esigenze relative alla salute e alla sicurezza dei dipendenti. E’ questa la sfida accolta dall’Università Cattolica che ha intrapreso un processo di valutazione dei rischi stress-lavoro correlati.

Convinti dell’importanza che riveste l’attenzione al rapporto individuo-ambiente, la Direzione di Sede e la Direzione Risorse Umane dell’Ateneo, in collaborazione con il Servizio Prevenzione e Protezione, ha attivato un progetto di valutazione, rivolgendosi a psicologi del lavoro esperti in valutazione dei rischi. L’intervento è stato finalizzato a migliorare la qualità della vita lavorativa, nell’ottica suggerita dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), secondo le quali è necessario pensare al concetto di salute come promozione di uno stato di benessere totale e totalizzante che coinvolga, e soddisfi, l’individuo nella sua completezza di persona dotata di un corpo, una mente e con delle relazioni sociali.

A partire da quando è stato promulgato il D.L. 81 (2008), la valutazione dei rischi psicosociali è considerata un processo che indaga sulla probabilità che si verifichi un evento negativo e soppesa l’impatto di tale evento. La valutazione deve pertanto comprendere quale sia la percezione del potenziale disagio, che può derivare dai vari fattori organizzativi, per ipotizzare strategie di intervento. E’ importante sottolineare che un’indagine di valutazione dei rischi è principalmente uno strumento di ascolto organizzativo: solo mettendosi in una posizione di attenzione e di osservazione delle dinamiche organizzative è possibile avvicinarsi infatti alla realtà lavorativa, ottenendo informazioni utili per monitorare la situazione attuale.

Il processo di indagine, intrapreso dall’Università Cattolica, ha coinvolto un campione composto da 53 dipendenti rappresentativo dell’Ente per tipo di posizione, genere e anzianità. Le informazioni ricevute dai colloqui (articolate in 7 aree tematiche: ambiente fisico; ambiente sociale; giornata lavorativa; contesto organizzativo; caratteristiche individuali e valutazioni soggettive; fattori esterni; disagi psicologici) sono state integrate con le osservazioni del medico competente e con le risposte delle interviste svolte dal Servizio di Prevenzione e Protezione in merito alla percezione soggettiva della postazione di lavoro: livello di affollamento e rumore, qualità del microclima e dell’illuminazione, tipo di assistenza prestata e tempi per la gestione delle richieste.

Il quadro emerso da questa prima fase dell’indagine è di un campione di soggetti con un livello tollerabile di stress lavorativo, finché le richieste corrispondono a quello che possono e si sentono effettivamente in grado di dare. Dal momento che lo stress è generato dallo squilibrio fra richieste e risorse interne, il mantenimento di questa stabilità permette un’attività lavorativa equilibrata pur tra le normali disomogeneità e difficoltà insite in una relazione organizzativa. Una volta analizzate le informazioni raccolte e redatto il rapporto di valutazione dei rischi stress-lavoro correlato, sono stati successivamente organizzati degli altri incontri con i gruppi campioni, condotti da psicologi, per discutere tale report e valutare possibili attività di intervento.

In questa seconda fase dell’indagine, la presenza e la disponibilità all'ascolto da parte dell'organizzazione nei confronti di suoi dipendenti è stata positivamente interpretata e apprezzata. Dalle persone coinvolte è emerso che la causa principale del disagio, per il dipendente, è da attribuirsi a problemi di comunicazione: obiettivi percepiti come poco chiari, scopi non ben definiti, mancanza di una modalità normativa dei compiti creano una situazione un po’ ambigua che, se da una parte lascia ampio margine al proprio agire, dall’altra non ricompensa la buona volontà, gli sforzi di migliorare e di migliorarsi, il desiderio di riconoscimento. L’obiettivo auspicabile e da perseguire è quindi quello di stabilire una relazione biunivoca tra dipendente e diretto responsabile, di realizzare una più agile circolazione di informazioni chiare e precise che potrebbe inoltre ridurre la percezione della distanza dall’Amministrazione. Questo rappresenterebbe inoltre un segnale di attenzione nei confronti del lavoro del singolo e renderebbe più facile la condivisione di quel senso di appartenenza necessario per affrontare la paura del cambiamento verso un nuovo riassetto organizzativo dell’Ente, che implica anche un riassestamento della cultura di appartenenza. In effetti dall’indagine emerge che i dipendenti si sono resi conto che è in atto un cambiamento, che viene percepito come cambiamento culturale prima ancora che organizzativo, questa consapevolezza è forte soprattutto nelle persone con una maggior anzianità di servizio che nutrono un forte senso di appartenenza e di fedeltà all’Ente.

Significativa è la distinzione che tutti i dipendenti hanno fatto, fra l’Università e il  “fuori”, che indica una chiara demarcazione fra un microcosmo fatto proprio e che gioca a proprio favore,  e tutto il resto del mondo lavorativo esterno, percepito come maggiormente duro e più minaccioso.

In conclusione l’indagine e la valutazione dei rischi psicosociali presso l’Università Cattolica di Milano ha stimolato la responsabilizzazione dell’Ente e dei suoi componenti, ha inoltre orientato alla presa di coscienza, singola e collettiva, di come le variabili individuali e organizzative possano generare un benessere emotivo fonte di stimolo per le sfide lavorative quotidiane. Al tempo stesso l’indagine è stata l’occasione per rilevare alcune situazioni di disagio e delineare possibili aree di miglioramento.