Scoperto un esercito di cellule staminali che dal midollo osseo si mette in marcia nel sangue per andare riparare il fegato, quando l’organo è compromesso seriamente da malattie e/o quando una parte di tessuto epatico viene asportata chirurgicamente per rimuovere tumori o altre lesioni. Queste cellule staminali aiutano l’organo a rigenerarsi quando da solo non ce la fa più a sostenere, usando le proprie cellule staminali interne, il processo autorigenerativo. La scoperta di queste staminali che si mettono in viaggio per andare a porre rimedio in caso di “guai seri” si deve a un recente studio dell’équipe di Antonio Gasbarrini, docente di Medicina interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirigente medico all’Unità operativa di Medicina interna e Gastroenterologia del Policlinico Gemelli, pubblicato sulla rivista “Digestive and Liver Disease”. Lo studio è stato effettuato in collaborazione con i docenti Gennaro Nuzzo e Felice Giuliante dell’Unità operativa di Chirurgia generale ed epato-biliare del Gemelli.

«La scoperta è importante perché indica la via verso nuove terapie per stimolare il processo naturale di riparazione del fegato assistito dalle cellule staminali del midollo osseo - afferma il professor Gasbarrini -: attraverso fattori di crescita, per esempio, si potrebbe intensificare il lavoro delle staminali del midollo e quindi ottenere la riparazione di un fegato molto compromesso che da solo non ce la fa a ricrescere». Come spiegano le ricercatrici Maria Assunta Zocco e Annachiara Piscaglia dell’Istituto di Patologia Medica dell’Università Cattolica che hanno condotto la ricerca, in questo modo si potrà trattare con resezione chirurgica del fegato un maggior numero di pazienti, anche molti di quelli oggi ritenuti inoperabili perché hanno un tessuto epatico troppo compromesso.

Antonio GasbarriniIl fegato ha una sua riserva interna di cellule staminali capaci di rigenerarlo, ma questo processo rigenerativo è possibile solo quando il tessuto epatico è sano o quantomeno non eccessivamente compromesso da malattie come cirrosi o cancro, prosegue il professor Gasbarrini. «Prima di compiere una resezione epatica su un paziente per rimuovere la parte di fegato lesionata, bisogna valutare costi e benefici dell’intervento, in quanto se la porzione di tessuto da rimuovere è molto estesa, il rischio è che, dopo l’intervento, il fegato del paziente non riuscirà ad autoripararsi. In questi casi il paziente è considerato inoperabile ed è inserito nella lista d’attesa trapianti». Ma adesso i ricercatori dell’Università Cattolica di Roma hanno scoperto un “meccanismo di salvataggio” basato su un canale di comunicazione esistente tra il fegato e il midollo osseo, che è la fucina delle cellule staminali del sangue. In pratica il fegato riceve una riserva di cellule staminali dal midollo osseo che lo aiutano a ripararsi quando non può più attingere alle proprie staminali.

Come si è arrivati a questa scoperta? «Abbiamo arruolato 29 pazienti che avevano subito una rimozione di parte del fegato per diversi motivi (tumori del fegato o delle vie biliari, metastasi, angiomi), interventi effettuati dalle equipe dei professori Nuzzo e Giuliante –spiega la dottoressa Zocco -. Abbiamo inizialmente suddiviso i pazienti in due gruppi sulla base del volume di fegato residuo dopo l'intervento (volume intorno al 40%; di solito il volume residuo minimo per garantire l’autoriparazione del fegato attraverso la sua riserva endogena di cellule è il 60% dell’organo). Poi li abbiamo ulteriormente suddivisi sulla base della presenza o meno di una malattia cronica di fegato (epatite o cirrosi). Abbiamo coinvolto inoltre come gruppo di controllo dei pazienti operati per asportare la colecisti». I ricercatori hanno eseguito su tutti i pazienti ripetuti prelievi di sangue, il giorno prima dell'intervento e poi dopo uno, tre, cinque, sette e 14 giorni dall'intervento. Gli esperti hanno misurato in questi campioni la percentuale di cellule staminali presenti nel sangue dei diversi gruppi di pazienti e hanno isolato le cellule staminali per valutare in quante di queste cellule fossero accesi i geni tipici delle cellule del fegato.

«Abbiamo visto che nel sangue dei pazienti che si sottopongono a rimozione di parte del fegato la percentuale di cellule staminali cresce nei giorni successivi all’intervento – afferma la dottoressa Zocco - e che questo incremento è maggiore nei pazienti cui viene tolto più del 40% del fegato rispetto a quelli che ne tolgono meno. Inoltre la presenza di una malattia cronica del fegato determina un ulteriore aumento della percentuale di cellule staminali circolanti”. È emerso inoltre, cosa ancora più importante, che le cellule staminali isolate dal sangue di questi pazienti hanno la carta d’identità genetica distintiva delle cellule del fegato (ovvero hanno attivi i geni espressi solo in queste cellule), dimostrando così un loro possibile ruolo nel processo di rigenerazione epatica. Quindi, quando il fegato non ce la fa più a ripararsi con le sue sole forze, entrano in gioco le cellule staminali del midollo osseo, ma solo in caso di danno molto esteso. Soprattutto quando la capacità rigenerativa locale è ridotta dalla presenza di una malattia cronica del fegato; per cui questa migrazione di cellule dal midollo al fegato ha un peso soprattutto nei pazienti con epatite cronica o cirrosi.

Nei pazienti con malattia cronica, le cellule staminali residenti nel fegato sono continuamente sollecitate a moltiplicarsi per ristabilire la massa epatica funzionante e il loro potenziale rigenerativo è notevolmente ridotto da questo superlavoro. «In caso di ulteriore danno epatico non riescono quindi a far fronte alla nuova situazione di emergenza», spiega ancora la ricercatrice. Alla luce di ciò, grazie alla scoperta dei ricercatori dell’Università Cattolica, le cellule staminali circolanti nel sangue, opportunamente sollecitate, potrebbero avere un ruolo importante a livello clinico per questi pazienti. «Nel nostro studio – ha aggiunto la dottoressa Zocco - abbiamo anche dimostrato che la mobilizzazione delle cellule staminali è associata a un aumento dei fattori di crescita circolanti nel sangue, cioè di quelle molecole che stimolano le cellule staminali a moltiplicarsi. Sicuramente la possibilità di modulare il processo di mobilizzazione delle cellule staminali del midollo e la loro migrazione nel fegato attraverso la somministrazione di fattori di crescita potrebbe aprire interessanti prospettive terapeutiche. Innanzitutto potrebbe consentire un aumento del numero di pazienti candidabili alla resezione epatica con approcci chirurgici potenzialmente più curativi e poi ridurre il numero dei pazienti con insufficienza epatica terminale che necessitano di trapianto di fegato». «In futuro – conclude il professor Gasbarrini – potenziando la capacità endogena del midollo di spedire “cellule riparative” al fegato, per esempio attraverso l’iniezione di fattori di crescita, si potrebbero guarire chirurgicamente pazienti oggi considerati inoperabili e quindi un minore numero di malati avrà bisogno del trapianto».