La ricerca raccolta nel volume “Verso un tirocinio di qualità” da un lato aiuta a fare chiarezza sulle criticità del tirocinio come strumento formativo e di crescita, dall’altro consente di comprendere come la formazione universitaria sta evolvendo, e potrebbe ulteriormente evolvere, in funzione di una realtà che sta cambiando in modo straordinariamente rapido e tangibile nella quotidianità stessa.

Un aspetto focale che rappresenta la chiave di volta da cui partire è sicuramente il concetto di riflessività, che nel report viene descritta come capacità di sviluppare una comprensione sulla propria educazione entro un sistema sociale, per riflettere e definire il proprio contributo in funzione di cambiamenti. Questo rappresenta uno snodo critico perché fa riferimento a trasformazioni continue e alla capacità di attivare un pensiero riflessivo, necessario per riuscire ad orientarsi all’interno di realtà caratterizzate da complessità e incertezza.

Il rischio per gli attori che operano all’interno di contesti professionali è quello di non riuscire a gestire tali repentini cambiamenti e di sentirsi vittime piuttosto che protagonisti e autori del proprio percorso e della propria traiettoria. A questo proposito occorre riflettere circa la differenza tra le peculiarità caratterizzanti la vita lavorativa del passato rispetto a quella che gli studenti attuali si troveranno ad affrontare al termine del percorso universitario. Fino a qualche anno fa nell’immaginario collettivo il percorso di crescita si costituiva come processo lineare in tempi non eccessivamente accelerati e con la possibilità quindi di adattarsi ai fisiologici cambiamenti. Per gli studenti oggi impegnati nelle esperienze di tirocinio, la vita lavorativa non coinciderà più con un percorso regolato, ma presenterà una forte connotazione di creatività, dove per creatività si intende una continua e costante capacità di apprendimento dall’esperienza e di adattamento a contesti differenti e in continua trasformazione.

Non più quindi linearità programmata e programmabile ma processo caratterizzato da maggiore imprevedibilità che richiede lo sviluppo di capacità di riflessione sull’esperienza per ricostruire creativamente la propria traiettoria e la propria realtà. Oggi la formazione a pensare diventa un aspetto imprescindibile e non solo un’opportunità: colui che non riesce a sostenere una vita lavorativa fondata sull’esperienza e intrecciata ad un continuo apprendimento dall’esperienza stessa, rischia di rimanere escluso ed isolato.

All’interno di questo quadro, la ricerca consente di comprendere come l’Università Cattolica stia utilizzando il termine tirocinio in modo polisemico attribuendo due significati differenti e complementari al medesimo termine. Il tirocinio è pensato come un’occasione per fare pratica ovvero per connettere la dimensione teorica, e quindi il pensiero, all’azione, fornendo l’opportunità di entrare all’interno delle situazioni e dei contesti professionali e di potenziare quindi la capacità di fare dei soggetti. In questo senso è molto utile l’incontro con un tutor che sia in grado di fornire strumentazioni e consigli tecnici e che sia capace di favorire l’apprendimento di modelli del fare.

È importante tuttavia, e qui si introduce la seconda dimensione, non confondere il tirocinio per apprendere la pratica con il tirocinio per apprendere dall’esperienza. La differenza principale risiede negli stessi concetti. La pratica infatti si può agire e riprodurre sulla base di un’inerzia; l’esperienza invece rappresenta la possibilità di trasformare la pratica stessa conferendole senso e significato trasferibile anche a situazioni e contesti altri. Ciò segna la differenza tra l’applicazione pedissequa di strumenti e tecniche di lavoro e la capacità di concettualizzare e trasferire le proprie competenze e abilità in contesti plurimi. La vita professionale di oggi e di domani pone come sfida la capacità di imparare dall’esperienza per influenzare ed innovare all’interno di un mondo in continuo cambiamento.

Quando si riflette relativamente alle funzioni della tutorship e ad un tirocinio di qualità, appare fondamentale inserire la  dimensione del breve-medio termine all’interno di una logica di imprevedibilità, incertezza e rapido cambiamento che caratterizza la realtà attuale. In altri termini è importante differenziare l’apprendimento di pratiche sempre più specialistiche dalla capacità di apprendere dall’esperienza. Questo per evitare un paradosso apparente, ovvero la contraddizione tra la richiesta sempre più pressante di specializzazione per risolvere problemi puntuali e specifici, e una rinnovata necessità di competenze trasversali e spendibili in contesti differenti.

A fronte della complessità più sopra descritta risulta quindi necessario operare un cambiamento di prospettiva dall’individualismo competitivo ad una professionalità connettiva: occorre coltivare la propria identità lavorativa e personale, integrandola con professionalità altre. A fronte di quanto sopra, il rischio a cui i soggetti si espongono, se non sono in grado di sviluppare capacità di integrazione, è quello dell’isolamento e della marginalizzazione. Questo significa che l’intelligenza individuale oggi non è più in grado di affrontare le sfide per il futuro, ma è necessario creare connessioni. Diventa indispensabile, in altri termini, la costruzione di soggetti sociali dotati di intelligenza collettiva.

In questa prospettiva diventa possibile e importante per gli attori inseriti in contesti lavorativi, verificare quotidianamente, attraverso lo sviluppo di un pensiero riflessivo, la propria professionalità intesa come capitale accumulato e che si declina in una triplice accezione: culturale, sociale ed emotiva.

In conclusione questa ricerca consente da un lato di comprendere il significato attribuito al termine tirocinio, dall’altro di interrogarsi sulle modalità attraverso cui didattica e formazione universitaria sono in grado di rispondere quotidianamente ad un mondo in rapida evoluzione e che porrà alle attuali generazioni sfide sempre più complesse.

Da: “Verso un tirocinio di qualità: la tutela delle funzioni di tutorship”, di Barbara Bertani, Silvio Ripamonti, Giuseppe Scaratti, Cesare Kaneklin, Vita e Pensiero, Milano, 2012 pp. 5-7