«Una ricerca importante, che segna una svolta nello studio delle tematiche sociali legate all’immigrazione». Il ministro dell’Interno Roberto Maroni non ha dubbi e ringrazia l’Università Cattolica per i frutti nati dalla collaborazione tra il ministero e gli studi de Dipartimento di Sociologia diretto dal professor Vincenzo Cesareo. L’occasione è la presentazione, nell’aula magna di largo Gemelli, della ricerca “Processi migratori e integrazione nelle periferie urbane”. Al tavolo insieme a Maroni, il capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno Mario Ciclosi, il sindaco di Milano Letizia Moratti, l’assessore alle Politiche d’integrazione del Comune di Torino Ilda Curti, il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti monsignor Antonio Maria Vegliò e lo stesso Cesareo. A chiudere i lavori il rettore dell’Università Cattolica di Milano Lorenzo Ornaghi.

«Vivere in qualsiasi parte del mondo oggi ed essere contro l'uguaglianza per motivi di razza o di colore è come essere in Alaska ed essere contro la neve», afferma lo scrittore americano William Faulkner. E il convegno è partito proprio da questo assunto: dato che l’immigrazione è una realtà concreta e la società è chiamata a farvi i conti ogni giorno, la ricerca della Cattolica ha mostrato una panoramica di come i centri metropolitani italiani si confrontano sul tema dell’integrazione. Letizia Moratti«La questione deve essere letta attraverso le differenze territoriali che caratterizzano ogni realtà – ha esordito il sindaco Letizia Moratti parlando di Milano -. L’esempio è quello delle scuole milanesi dove si registra una presenza doppia rispetto al resto d’Italia di alunni stranieri nelle classi. Nella sfida all’integrazione la scuola gioca un ruolo fondamentale, ma resta da chiedersi come. Sicuramente in Italia non sono state fatte scelte agli antipodi, tra forme di apertura assoluta allo straniero, come in Gran Bretagna, o forme di negazione di ogni appartenenza alle culture d’origine degli studenti, come in Franca». La  scuola rimane il luogo primario di integrazione anche in Italia, alla ricerca di una via mediana rispetto a modelli culturali già presenti in altri stati europei dove il fenomeno migratorio ha radici ben più antiche. Ma è proprio dal paragone con quanto succede nel resto d’Europa che il convegno e la ricerca promossa dal professor Cesareo hanno dovuto fare i conti.

 

Immigrazione e metropoli sono elementi che, se mal miscelati fra loro, possono dare vita a realtà incandescenti, vere polveriere dove il degrado e la frustrazione sociale possono esplodere da un momento all’altro. L’esempio più lampante arriva dalle banlieue parigine. «La via italiana alla gestione del tema migratorio deve essere locale – ha spiegato l’assessore alle Politiche d’immigrazione del Comune di Torino, Ilda Curti –. Fondamentale è operare all’integrazione dei territori marginali delle grandi città al fine di creare i presupposti per la convivenza, arginando veri e propri detonatori sociali. L’Italia ormai si trova a gestire la fase adulta del percorso migratorio, dato che siamo già arrivati alle seconde generazioni. La verità è che intorno alla marginalità si è sviluppato un vero e proprio circolo economico: veri imprenditori del degrado che gestiscono le case fatiscenti in cui spesso gli immigrati sono costretti a vivere. Una buona via è quella che conduce al contrasto di queste economie parallele».

La via di salvezza sembra dunque quella della giustizia e della carità verso chi è vittima di un gioco speculativo di cui è attore e vittima allo stesso tempo. Una via che come ha ricordato monsignor Antonio Maria Vegliò passa per le parole dell’enciclica del Santo Padre Benedetto XVI “Caritas in veritate”: «È necessario - scrive il Santo Padre - accostarsi a tutte le culture con l’atteggiamento rispettoso di chi è cosciente che non ha solo qualcosa da dire e dare, o da giustamente pretendere, ma anche da ascoltare e ricevere, dal momento che, con l’ausilio di adeguato discernimento, anche altre culture e altre religioni insegnano la fratellanza e la pace e, quindi, sono di grande importanza per lo sviluppo umano integrale». Secondo monsignor Vegliò, «mai come oggi le migrazioni chiedono di progettare una società in cui si allarghino gli spazi di appartenenza e di partecipazione e si restringano quelli di emarginazione e di esclusione. La sfida è la costruzione di una “società integrata” e questo richiede non tanto la difesa di culture e religioni diverse, quanto piuttosto, da un lato, l’adozione di nuove reti di solidarietà contro la miseria e l’esclusione sociale e, dall’altro, la promozione dell’incontro tra culture che favorisca la relazione, lo scambio e il vicendevole arricchimento».

Proprio per allontanare una deriva modello banlieues, occorre, come sostiene il rettore Lorenzo Ornaghi, «guardare alle migrazioni con gli occhi di chi si deve mettere in viaggio alla ricerca di una casa». Ed è proprio la metafora della casa che usa Ornaghi per spiegare l’atteggiamento che un paese deve assumere se posto di fronte al fenomeno. «Ristrutturare il sistema come fosse una casa. L’immigrazione possibile deve passare per l’allentamento della tensione. Un compito sicuramente arduo, ma ottenibile con politiche d’integrazione volte non solo al migrante ma anche al cambiamento delle politiche locali».

 

Il ministro MaroniResta una questione da capire: è possibile un fenomeno degenerativo come quello delle periferie francesi anche in Italia? La ricerca del professor Cesareo non lo esclude e ciò fa scattare soglie d’attenzione più che giustificate: «Non posso escludere il rischio di esplosione di questi fenomeni – spiega il ministro Maroni –. Alla luce di ciò non possiamo però parlare di un modello italiano per l’immigrazione perché di fatto ce ne sono tanti e l’analisi deve essere fatta in maniera molto attenta di città in città e di regione in regione. La via deve quindi essere quella delle autonomie territoriali per permettere agli amministratori di poter intervenire direttamente. Importante è concentrarsi sul contrasto alla criminalità puntando sull’integrazione, perché senza integrazione non c’è nemmeno sicurezza».