L’Italia non è unita nell’offerta vaccinale, con la conseguenza di rischi differenti per la salute della popolazione pediatrica e adulta a seconda delle Regioni in cui si vive. Si registra, infatti, una certa disomogeneità territoriale nell’offerta vaccinale, mentre non si uniforma ancora all’orientamento prevalente negli Stati Europei il passaggio dall’obbligatorietà alla raccomandazione delle vaccinazioni Regione per Regione, circostanza che rende necessario un supplemento di formazione degli operatori sanitari, qualità delle informazioni sui vaccini, adeguate modalità di comunicazione ai cittadini e sistemi di monitoraggio.

Ma non ci sono solo ombre: infatti si riducono negli anni i casi di notifica – e dunque ci si ammala di meno - della maggior parte delle malattie prevenibili con le vaccinazioni (per esempio Morbillo ed Epatite B) e si va sempre più diffondendo il valore economico-etico-sociale delle vaccinazioni.

C’è però molta strada da percorrere per ottenere il massimo dei benefici dalla prevenzione offerta dai vaccini oggi disponibili, sia nel lungo e medio periodo per la popolazione pediatrica, sia nel breve termine per la popolazione adulta e soprattutto anziana, da coinvolgere maggiormente nelle campagne vaccinali.

Sono questi in sintesi i principali dati che emergono dal I Report “Prevenzione vaccinale” pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane - diretto dal Professor Walter Ricciardi - con sede alla sede di Roma dell'Università Cattolica, con il sostegno incondizionato delle aziende farmaceutiche Crucell, Glaxo Smith Kline, Pfizer e Sanofi Pasteur Msd.

Il Report, presentato il 19 giugno al Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma, rientra nell’ambito del Progetto “Prevenzione Italia. Prevenzione come garanzia di sostenibilità e sviluppo del Servizio Sanitario Nazionale”, che prevede la pubblicazione di una serie di Report tematici - su argomenti di interesse in Sanità Pubblica, con taglio sia epidemiologico che valutativo-economico sugli aspetti di efficacia, costo-efficacia, impatto sulle risorse a disposizione e fattibilità organizzativa - che nel loro insieme andranno a costituire un Atlante sullo stato dell’arte della prevenzione in Italia.


Ecco la fotografia dell’Italia dei vaccini

Entrando più in dettaglio, la situazione che emerge dai temi trattati nel Report “Prevenzione Vaccinale” rileva una diversa applicazione a livello regionale delle direttive nazionali con conseguente disomogeneità sul territorio riguardo l’offerta vaccinale, la necessità di riorganizzare i servizi e di migliorare la qualità delle informazioni e della comunicazione per consentire il passaggio da un regime di obbligatorietà a un regime di raccomandazione al fine di allinearsi alle politiche sanitarie di altri Paesi come per esempio Germania, Spagna e Regno Unito, la riduzione dei casi della maggior parte delle malattie prevenibili con le vaccinazioni, e soggette a notifica (solo a titolo di esempio, nell’arco temporale 2000-2010, l’Epatite B ha registrato un calo di -81,54%, il Morbillo -73,37%, la Rosolia -98,20%), e il rilevante valore economico-etico-sociale delle stesse.

La revisione della normativa nazionale vigente ha evidenziato che, nonostante l’esistenza del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2012-2014 - documento di riferimento e di guida attualmente in vigore in tema di diritto alla prevenzione di malattie per le quali esistono vaccini efficaci e sicuri - e l’inclusione dal 2001 delle vaccinazioni nei Livelli Essenziali di Assistenza, l’offerta vaccinale sull’intero territorio risulta estremamente eterogenea.

Un esempio di eterogeneità è rappresentato dall’offerta da parte dei servizi vaccinali, introdotta nel 2007, della vaccinazione anti-Human Papilloma Virus (HPV) alle ragazze nel 12° anno di vita, sia per le differenze temporali di avvio dell’offerta gratuita nelle singole Regioni/Province Autonome, sia per il limite massimo di età oltre il quale la gratuità non è più prevista.

Un altro esempio di disomogeneità territoriale è rappresentato, relativamente all’obbligatorietà delle vaccinazioni, dalla Regione Veneto che dal 2007 ha sospeso l’obbligo per tutti i nuovi nati a partire dal 1 gennaio 2008 e introdotto un sistema di monitoraggio semestrale al fine di verificare ed evidenziare, in tempi molto brevi, eventuali effetti sfavorevoli del provvedimento adottato, mantenendo inalterato il sistema di offerta gratuita da parte dei servizi vaccinali.

«L’obbligatorietà vaccinale è un tema molto discusso - afferma la professoressa Maria Luisa Di Pietro, docente presso l’Istituto di sanità Pubblica dell’Università cattolica di Roma e co-autrice del Report - e, se in passato poteva essere giustificata dallo status sociale e culturale che caratterizzava il nostro Paese, oggi l’attenzione dovrebbe essere spostata verso il dovere morale del cittadino e, più in particolare, dei genitori se riferito alle vaccinazioni per l’infanzia. All’interno di questo percorso di passaggio diventa fondamentale la qualità dell’informazione basata sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, le modalità comunicative e la formazione degli operatori sanitari poiché sia le conoscenze scientifiche che le capacità comunicative e operative di esecuzione e di coordinamento sono basilari per giungere all’obiettivo cui tendono le vaccinazioni».

Parlando di prevenzione vaccinale, aggiunge la professoressa Di Pietro, «è importante sottolineare anche il ruolo altamente sociale che essa ricopre poiché le vaccinazioni non sono fine a loro stesse ma, attraverso il meccanismo di herd immunity (immunità di gruppo), perseguono il duplice obiettivo di salvaguardia di chi vi si sottopone e di tutela della restante popolazione».

Un’ulteriore evidenza di eterogeneità nell’erogazione dell’offerta vaccinale si riscontra nell’applicazione delle indicazioni del calendario vaccinale, presente nel Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale (PNPV), rispetto al quale ogni singola Regione o Provincia Autonoma può attuare adeguamenti e/o modifiche tramite provvedimenti normativi.

A tal proposito, alcune Società scientifiche e Federazioni accreditate hanno elaborato il Calendario Vaccinale per la Vita, la cui ultima edizione del 2014 amplia l’offerta vaccinale rispetto a quanto riportato nel PNPV, e che viene spesso utilizzato a riferimento delle modifiche normative proposte. Un esempio è l’inclusione del sesso maschile nei programmi vaccinali contro l’HPV da parte di alcune Regioni (Puglia, Veneto, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Liguria).


L’analisi dei dati di notifica relativi ad alcune malattie prevenibili con la vaccinazione ha evidenziato che, per quanto riguarda le malattie per le quali in Italia esiste l’obbligo vaccinale, i casi registrati sono pari a 0 per la Poliomielite e la Difterite e pari a 57 per il Tetano (2011), mentre per l’Epatite B, resa obbligatoria molto più tardi (2001), si registra una netta contrazione di casi stessi negli anni osservati (da 1.528 casi nel 2000 a 282 casi nel 2010, ossia -81,54%).

Relativamente a tali patologie si registrano anche, a livello nazionale, valori di copertura ottimali in linea con l’obiettivo minimo stabilito nel vigente PNPV (almeno il 95% entro i 2 anni di età).

I dati di notifica di Morbillo, Rosolia e Parotite, per le quali la vaccinazione risulta raccomandata (vaccino combinato), mostrano diminuzioni molto consistenti (Morbillo: da 1.457 casi nel 2000 a 388 casi nel 2010 – ossia -73,37%; Parotite: da 37.669 casi nel 2000 a 534 casi nel 2010 – ossia -98,58%; Rosolia: da 2.605 casi nel 2000 a 47 casi nel 2010 – ossia -98,20%). Nonostante la riduzione dei casi, però, la relativa copertura vaccinale non raggiunge ancora il valore ottimale (raggiungimento e mantenimento nel tempo di almeno il 95%) previsto dal Piano Nazionale per l’Eliminazione del Morbillo e della Rosolia congenita in vigore, ma anzi, dal confronto dei dati del 2013 con l’anno precedente, si osserva addirittura un decremento (-2,11%).
 
Oltre alle vaccinazioni “tradizionalmente” raccomandate, nel PNPV è stata ampliata l’offerta vaccinale in tutto il Paese di nuovi vaccini che hanno dimostrato elevata efficacia nel prevenire alcune malattie infettive con grave decorso clinico (per esempio, infezioni invasive da meningococco) o malattie che, pur decorrendo nella maggior parte dei casi senza complicanze, hanno un’elevata incidenza (Varicella).

Nel dettaglio, relativamente a queste malattie, il numero di casi notificati di infezioni da meningococco risultano in diminuzione, considerando l’arco temporale 2000-2010 (da 189 casi nel 2000 a 54 casi nel 2010 – ossia -72,16%). Analoga situazione di decremento si riscontra anche per la Varicella (da 95.174 casi nel 2000 a 40.154 casi nel 2010 – ossia -57,81%).

Relativamente alle rispettive coperture vaccinali per il meningococco, rientrando tra le vaccinazioni di recente raccomandazione, a oggi non è stata effettuata a livello nazionale la raccolta routinaria dei dati, ma sono stati eseguiti solo studi ad hoc che comunque evidenziano un incremento della copertura nel tempo (2007-2012). Per la Varicella, invece, non si hanno ancora dati poiché il PNPV raccomanda tale pratica per i nuovi nati a partire dal 2015.

Per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale offerta gratuitamente ai gruppi di popolazione considerati a rischio, in particolare agli anziani (65 anni e oltre), il PNPV stabilisce per gli ultra 65enni il 75% come obiettivo minimo perseguibile e il 95% come obiettivo ottimale. In Italia, purtroppo, con le percentuali di copertura vaccinale attualmente conseguite, l’obiettivo minimo resta ancora lontano dall’essere raggiunto. Infatti, nella stagione 2013-2014, la copertura vaccinale degli anziani risulta a livello nazionale pari a 55,4% e, considerando l’arco temporale 2002-2003/2013-2014, si è osservata addirittura una diminuzione dell’8,1%. Nella stagione 2014-2015 la copertura vaccinale negli ultra 65enni risulta pari al 49%, registrando quindi una ulteriore riduzione (dati disponibili, ma non presenti nel Report).

Inoltre, tra le vaccinazioni consigliate per alcune categorie a rischio, tra cui il vaccino anti-rotavirus (neonati e bambini di età inferiori ai 5 anni), immesso in commercio in Europa e negli USA nel 2006, anche se la comunità scientifica è d’accordo nel raccomandare il suo utilizzo all’interno dei programmi nazionali di immunizzazione, il nostro Ministero della Salute non ha, a oggi, ancora inserito tale raccomandazione nel PNPV.

«L’uso appropriato di vaccini”, afferma Alessandro Solipaca, segretario scientifico di Osservasalute e Co-autore del Report Prevenzione vaccinale, “determina la riduzione dei costi globali per la gestione delle patologie che gli stessi prevengono (dalle patologie infettive vere e proprie alle evoluzioni delle stesse nel tempo fino ad alcune patologie tumorali correlate), per cui, fondamentale, è l’allocazione delle risorse nel predisporre interventi preventivi finalizzati a evitare l’evento malattia e il ricorso al Servizio Sanitario Nazionale per finalità di cura».

I benefici dei programmi di immunizzazione assumono una valenza differente che dipende dall’età dei soggetti da coinvolgere.

Nel caso dei bambini si parla di lungo termine poiché la non immunizzazione in età infantile, oltre a determinare una minore probabilità di sopravvivenza e impattare sullo sviluppo psico-fisico, incide anche in termini di mancato o incompleto accesso al sistema istruzione e sulle capacità produttive in età adulta in caso di disabilità.

Per la popolazione in età adolescenziale, invece, i programmi di richiamo e di recupero dell’immunizzazione rappresentano un investimento a medio-lungo termine poiché hanno una funzione protettiva su patologie disabilitanti che possono impattare sul loro sviluppo prima dell’età adulta, condizionando le future capacità produttive.

Infine, se si considera la fascia di popolazione adulta l’investimento derivante dai programmi di immunizzazione è a breve termine, generando in tempi rapidi un guadagno di salute che si riflette in un incremento della produttività.

Anche per la popolazione anziana i programmi di immunizzazione sono un investimento a breve termine che consentono di diminuire il rischio di sviluppo di malattie infettive, che nei soggetti anziani causano un acceleramento del declino complessivo fino al decesso.

Alcune analisi di scenario, descritte nel Report, evidenziano come, nel caso dell’Epatite B, tenendo conto dei dati di incidenza, cronicizzazione e letalità, tra il 1991-2010 si stima siano stati per esempio evitati alcune centinaia di casi di epatocarcinoma.
Relativamente all’influenza, invece, si stima che l’assenza di una strategia vaccinale genererebbe più di 2 milioni di casi, con circa 30.000 decessi, mentre la somministrazione del vaccino ridurrebbe i casi a 1,5 milioni. Nel nostro Paese inoltre, la durata media dell’assenza dal lavoro per sindrome influenzale è di circa 4,8 giorni ed è stato calcolato che ogni caso di influenza costa, complessivamente, 330€.

In conclusione, afferma Di Pietro, «la prevenzione, essendo finalizzata al miglioramento della qualità e dell’aspettativa di vita e alla riduzione della morbilità e della mortalità nella popolazione, è da considerare un bene individuale e sociale. Essa ha, infatti, una dimensione universale (sana le diseguaglianze tra chi si ammala e chi non si ammala), un valore anticipatorio (tende a ridurre il verificarsi di un danno futuro, la malattia, eliminando la sofferenza e migliorando le condizioni di salute del soggetto) e un buon rapporto costo-efficacia per il soggetto (riduzione del carico di dolore e sofferenza legato alla malattia) e per la società (riduzione della spesa sanitaria per la diagnosi e terapia di condizioni morbose e per interventi di riabilitazione in presenza di esiti invalidanti)».