E la chiamano letteratura pianistica per l’infanzia...

Sara Tomasoni al pianoforteSara Tomasoni, pianoforte
Mercoledì 20 giugno 2012, ore 17
cortile di via Lanzone 14

Programma
Robert Schumann (1810-1856)
Kinderszenen op. 15

Bela Bartòk (1881-1945)
For children Sz 42

Claude Debussy (1862-1918)
Children’s corner



Sara Tomasoni, nata a Brescia nel 1989, si diploma nel 2009 con il massimo dei voti e la lode sotto la guida del maestro Domenico Clapasson presso il Conservatorio di Brescia; prosegue gli studi presso l’Accademia “Romano Romanini” di Brescia con Sergio Marengoni. Nel 2005 ottiene una borsa di studio come vincitrice del concorso “Isidoro Capitanio” interno al Conservatorio e nel 2009 una borsa di studio dal Rotary Club. Ha preso parte alle rassegne “Le dieci giornate di Brescia” e “Musica e Disagio”, all’edizione 2010 del Festival della Brescianità e all’XI Biennale della Franciacorta e del Sebino, esibendosi in numerose manifestazioni a Brescia (Conservatorio “Luca Marenzio”, Università Cattolica, Teatro San Carlino, Chiesa di S. Cristo, Piazza Duomo), provincia e a Roma (Teatro di Marcello). Ha collaborato in formazione da camera con l’oboista Francesca Fagotti e tuttora si esibisce in duo con la flautista Stefania Maratti. Da alcuni anni affianca allo studio e all’attività concertistica anche quella di insegnante e accompagnatrice. Dal 2011 è iscritta al corso di Composizione sempre presso il Conservatorio “Luca Marenzio”, nella classe del maestro Paolo Ugoletti. Frequenta la facoltà di Fisica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.


1917, la sonata per violino in Francia

Il concerto del 6 giugno scorso nella presentazione di Marco Brighenti

Il 1917 è l'anno in cui Gabriel Fauré e Claude Debussy completano le due sonate per pianoforte e violino eseguite nel secondo appuntamento concertistico di Note d'inchiostro. Il 1917 è un anno cruciale nella storia Europea: è l'anno più duro e sanguinoso del primo conflitto mondiale. Ma lo è anche per la storia della musica francese: la seconda decade del secolo scorso è un momento di straordinario fermento. Debussy apre le porte del suo appartamento parigino al più giovane Igor Stravinsky, che ricorda i lunghi e divertenti pranzi insieme nei suoi Mémoires. Ospitalità che ci appare tanto più magnanima se pensiamo che l'ormai maturo francese era consapevole che il terribile russo gli avrebbe presto sottratto lo scettro di rivoluzionario (la prima di Jeux, capolavoro sconvolgente di Debussy, era stata nel 1913 messa in ombra dall'esecuzione, due settimane prima, del Sacre du Printemps di Stravinsky).

Non solamente la sonata di Debussy, che muore l'anno seguente, è il frutto di una stagione creativa matura, ma anche la sonata del settantaduenne Fauré. Nell'autunno dell'esistenza entrambi gli artisti si cimentano con la medesima forma musicale, per di più coll'identico organico di violino e pianoforte. Nel concerto abbiamo potuto vedere l'immagine di due compositori così differenti riflessa nello specchio della medesima forma musicale.

Fauré e Debussy hanno certamente due fisionomie artistiche diverse. L'animo di Debussy è segnato dallo spleen, dalle inquietudini di una vita sentimentalmente molto movimentata. Fauré conobbe lo spleen in gioventù, ma il successo e il lavoro lo condussero sul cammino di una serena operosità.

Può tradursi tutto questo, anche solo indirettamente, vagamente, nella musica? Voglio considerare qui un solo elemento: il tempo. La musica è arte temporale per eccellenza, la più temporale delle arti: un confronto col tempo è intrinseco al sorgere della musica stessa, e non solo al momento creativo o fruitivo. Noi tutti intuiamo che il tempo nel quale viviamo non è quello omogeneo e vuoto della scienza: un quarto d'ora di attesa è diverso da un quarto d'ora di appagamento, un quarto d'ora di noia è diverso da un quarto d'ora di nostalgia, senza bisogno di citare Henry Bergson (1859-1941) o Marcel Proust (1871-1922), che in quegli anni in Francia erano  esponenti della cultura ufficiale e che i due compositori ben conoscevano.

Come si relazionano col tempo le musiche di Fauré e Debussy, come vivono e come fanno vivere, a noi che le ascoltiamo, il tempo? Mi viene in soccorso un filosofo francese Vladimir Jankélévitch, che ai due compositori e al loro sentimento del tempo ha dedicato numerosi preziosi scritti.

Ascoltando l'inizio della sonata di Debussy (battute 1-14) potremmo decifrare la firma del grande compositore. L'intera sonata rende, nel suo svolgimento, omaggio al carattere solistico della forma prescelta, con momenti di virtuosistico perpetuum mobile, ma questo momento così pregnante che ritorna anche all'inizio del terzo movimento e in più punti, rappresenta il contributo personale del compositore alla grande forma. Sugli accordi stagnanti su sol minore del pianoforte cade l'arpeggio discendente di sol minore del violino. Jankélévitch paragona spesso la musica di Debussy a delle acque stagnanti, acque prive di movimento nelle quali già respiriamo i miasmi della morte e della putrefazione. Si tratta delle acque che troviamo descritte nel Pelléas et Mélisande, opera di Debussy, e dello “stagno di acque morte” di cui leggiamo nell'incipit de La rovina della casa degli Usher, racconto di Edgard Allan Poe che Debussy amava e iniziò anche a musicare.

Il tempo è bloccato: il brachilogico arpeggio discendente sembra negare qualsiasi forza motoria alla musica, le note cadono come foglia morta sulle acque, prive di moto interno. Per un attimo contempliamo il mistero del tempo, senza poterlo svelare: nessuna rivelazione ci attende, nessuna via alla trascendenza ci è aperta, il tempo, nel suo bloccarsi, si rivela un enigma triste e impenetrabile. Lo spleen rivela la voracità di Chronos come mancanza di senso e le oppone il rifiuto dello scorrere degli attimi.

Se le acque di Debussy sono, come ci aveva suggerire Jankélévitch, stagnanti, le acque di Fauré sono fluttuanti, sono le acque mosse di un ruscello. La sua musica non si blocca davanti al mistero del tempo, piuttosto lo vive. Si concreta così l'idea bergsoniana della durata: la continuità tra passato, presente e futuro, il loro compenetrarsi. Se Bergson contesta l'immagine del tempo quale collana dove ogni attimo si succede come perla a perla, contrapponendo l'immagine del fascio della cometa, non a caso la musica di Fauré è così caratterizzata dallo sfumato, dove un tema musicale non fa in tempo ad affacciarsi che già dilegua, sfuma nel passato: nella vita il presente è già sempre ricordo e attesa.

Ciò si evince particolarmente nell'esposizione del primo tema (battute 21-44), del tutto anomala secondo i canoni. Sopra l'arpeggio continuo proposto dal pianoforte, pari a un ruscello, il primo tema è abbozzato dal violino per tre misure, ma viene subito riproposto in una progressione. Abbiamo un frammento che quindi non conclude, né armonicamente né melodicamente, ma piuttosto rimane in uno stato di sospensione, e sfuma nel frammento progressivo che lo succede. Il presente non può sorgere che già sfuma nel passato, la musica si comporta come il flusso delle onde del mare, in un continuo in cui esse sono sempre le stesse sempre diverse, secondo il detto eracliteo “ mai due volte nello stesso fiume!”.

Il senso della sonata classica, il contrapporsi dialettico di due sostanze, il primo e secondo tema, viene qui smentito, la plasticità musicale tipica dell'esposizione di una forma sonata è negata da Fauré, così come il mistero assoluto dell'incipit della sonata di Debussy negava qualsiasi senso allo svilupparsi nel tempo della musica.