Una mossa di politica interna oppure l’anticamera di una guerra commerciale? La scelta di Trump di porre dei dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% su quelle di alluminio potrebbe essere e l’una e l’altra. Un’iniziativa già tentata da Bush nel 2003, che ha il chiaro intento di sfavorire la Russia, il Giappone e, soprattutto, la Cina, nei due settori citati, particolarmente sensibili per gli Usa.

Una chiara delegittimazione dell’Organizzazione mondiale del commercio, secondo Andrew Spannaus, giornalista americano che già mesi prima aveva previsto la vittoria di Trump, per la sua capacità di intercettare le reali esigenze del popolo americano, di quelle classi oppresse che ormai rappresentano il 75% dei Paesi ricchi.

Su una lunghezza d’onda diversa il direttore dell’Aseri Vittorio Emanuele Parsi (in alto la sua videointervista), che ritiene vi sia «una visione teologica, astorica del libero commercio», che invece ha causato questa distribuzione iniqua delle risorse nelle nazioni più sviluppate. Quello dei dazi, secondo il direttore dell’Aseri, è dunque un non problema. Il protezionismo (che Trump di certo non ha inventato) a suo tempo ha fatto aumentare i dati relativi al commercio degli States e permesso di proteggere lo standard e la qualità dei loro prodotti. È questo ciò che preme maggiormente al Presidente, quello che ha promesso ai suoi elettori e che ora tenta di rispettare: produrre, far crescere la manifattura, ridurre il deficit commerciale e il gap con la Cina.

Per il professor Luca Rubini dell’Università di Birmingham, invece, ciò che ha causato questo divario sempre più netto tra poveri e ricchi è la mancanza di politiche interne mirate, non il libero commercio. Le importazioni, e soprattutto quelle cinesi, erano già sottoposte a dazi, per cui l’impatto di questa decisione su di loro è relativo. Sono dunque una sorta di “specchietto per le allodole”, una pura mossa di politica economica americana, insomma semplice politica interna. Non è un caso infatti che quella dei dazi sia ufficialmente riconosciuta non come una misura economica, ma come un provvedimento di sicurezza nazionale. I dazi nascono per sfavorire la Cina ma in realtà impattano più sul Canada, sul Messico e sull’Unione Europea, tanto che è stato rinviato fino a giugno l’ultimatum all’Unione europea, nel tentativo di trovare finalmente un accordo proficuo per entrambe le parti in causa.