di Carmelo Sofia *

Dopo diverse ore di volo atterriamo in Uganda, all’aeroporto di Entebbe a ridosso dell’Equatore. Avverto, al pari dei miei tre compagni di viaggio, un misto di disorientamento, euforia e curiosità alla vista di un paesaggio tanto particolare: è il colore rosso della terra ugandese a catturare la mia attenzione. Il driver Solomon ci conduce al Benedict Medical Center (BMC) di Kampala, che diventerà la nostra casa per le successive tre settimane. Dopo un solo giorno comincio a trovarmi a mio agio, come se fossi entrato già a far parte di una grande famiglia: dopotutto al BMC si respira un clima di grande festa per la celebrazione dell’anniversario della Scuola Bishop Cipriano Kihangire, adiacente all’ospedale.

Le giornate al centro sono sempre particolarmente interessanti. La mattina è dedicata al giro visite, a fianco dei medici locali, nei due reparti di degenza e si procede poi in OPD (Out Patient Department ossia un ambulatorio h24): ho per la prima volta un ruolo attivo nella visita del paziente, dalla diagnosi al trattamento e sono lieto di quanto rispetto e fiducia è rivolta nei nostri confronti a dispetto di un’esperienza ancora limitata.

Qualche volta squilla il telefono del nostro appartamento, chiamano dalla sala operatoria: scendiamo di fretta per assistere alle imminenti operazioni. Sembra quasi di compiere un tuffo nel passato quando il Dr. Ochen ci accompagna a turno all’ospedale militare di Bombo, che si occupa della cura dei membri delle forze armate ugandesi e dei civili delle comunità locali: edifici antichi e, al loro interno, pazienti affetti da qualsiasi tipo di malattia, spesso cronica e in stadio avanzato.

La relazione medico-paziente assume significati nuovi: il medico offre supporto e ascolto attivo, prendendosi cura con umanità del malato. Chiedere e ricevere assistenza può comportare grossi sacrifici, per cui gli riserviamo tutto il tempo necessario a capire l’entità della malattia, l’impegno economico che dovrebbe affrontare ma soprattutto i vantaggi che ne conseguirebbero per la sua salute. Purtroppo rimango a volte amareggiato per la rassegnazione e lo sconforto di alcuni che non hanno sufficienti disponibilità da destinare alla cura di sé o dei propri familiari.

L’esperienza non si è limitata all’ambito prettamente ospedaliero. Spinti dal desiderio di scoprire le bellezze di questa terra, ci dirigiamo verso il nord dell’Uganda abbandonando il traffico e lo smog di Kampala. Un viaggio indimenticabile: tramite la Kampala-Gulu Highway attraversiamo numerosi paesi e villaggi e circondati da foreste, piantagioni e animali di ogni tipo raggiungiamo la città di Gulu (con sosta al St. Mary's Lacor Hospital) e il Murchison Falls National Park. Nel secondo weekend ci troviamo a Jinja, sorgente del fiume Nilo. I racconti dei driver e delle persone conosciute mi danno modo di comprendere più a fondo la storia del Paese, che si sta a poco a poco risollevando da una lunga e sanguinosa guerra civile terminata una decina di anni fa.

Faccio fatica a scegliere tra i tanti ricordi impressi nella mente: la simpatia del personale ospedaliero (medico e non) in grado di farmi sentire davvero a casa, le sere trascorse a giocare ai campi della scuola Bishop, i saluti affettuosi dei bambini dell’asilo e dei ragazzi della scuola primaria e secondaria, la meravigliosa accoglienza ricevuta presso l’orfanotrofio “Cusmano House”, gli sguardi curiosi e sorridenti degli ugandesi alla nostra vista, le centinaia anzi migliaia di boda boda (moto-taxi) sparsi per la città, la terra rossa disseminata dappertutto. Ogni qual volta metto piede fuori dal centro ho la sensazione di non passare mai inosservato ed è curioso sentire delle voci alla nostra vista che esclamano “Muzungu, muzungu!” in riferimento appunto all’ “uomo bianco”; riscopro come il colore bianco della pelle rimanda dopotutto a specifici significati.

Ho imparato che ciascuno, indipendentemente dalle proprie condizioni di origine, ha diritto ad avere almeno un’opportunità. Custodisco i sorrisi, le parole e l’umanità ricevuti che mi accompagneranno nel percorso di studi e nella vita.

* 24 anni, di Oliveri (Me), studente del sesto anno del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, campus di Roma