Una fotografia sulle preoccupazioni, le richieste, le aspettative degli italiani in questa nuova fase di riapertura. La ricerca di EngageMinds Hub, centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dà voce agli italiani per capire come stanno vivendo l’emergenza e le misure di gestione. «L’EngageMinds Hub ha nella sua mission principale l’analisi dei processi di coinvolgimento attivo delle persone nelle condotte di consumo» dice la direttrice Guendalina Graffigna. «Nasce nell’ottica di creare un ponte culturale tra i cittadini e istituzioni e aziende».

Uno studio longitudinale, basato su due rilevazioni principali: la prima su un campione di mille italiani, cinque giorni dopo il primo “paziente uno” in Italia, quindi un’istantanea di quelle che erano le preoccupazioni e le emozioni nella fase acuta della pandemia. La seconda invece è stata fatta cinque giorni dopo che si sono iniziate ad aprire le prime porte verso la rinnovata libertà, la cosiddetta Fase 2. I dati raccontano di una preoccupazione degli italiani aumentata rispetto all’inizio della pandemia: «Non è corretto dire che gli italiani sono meno preoccupati col passare di questi mesi. Ma ci sono altri dati che rendono più complesso il quadro». Ci sono infatti delle differenze nette all’interno del campione stesso. Al momento ciò che più tocca gli italiani è l’impatto finanziario che il Coronavirus ha avuto. Aumenta il pessimismo delle persone rispetto alla situazione economica, sia dello Stato che personale. A essere più angosciate sono le donne, specialmente nella fascia d’età che vai dai 35 ai 59 anni. 

A creare inquietudine non è però solo l’economia. A cambiare sono stati anche gli atteggiamenti degli italiani rispetto alla salute e alla prevenzione. C’è una buona convinzione di base che i comportamenti preventivi oggi siano un atto di responsabilità. Dall’altra parte però rimane la percezione di non avere pieno controllo sulla situazione, rispetto anche alla capacità di gestirsi e adattarsi alla situazione di emergenza: «Tendenzialmente chi ha una posizione di allerta ha poi un atteggiamento meno positivo verso la prevenzione della salute – spiega Guendalina Graffigna – mentre, dall’altra parte, chi è in una posizione di equilibrio ha una maggiore autoefficacia anche in situazioni di stress». 

Lo studio però continua, e ci dà dei campanelli d’allarme da tenere bene in considerazione. Cercando di sondare qual è il senso di fiducia verso gli operatori sanitari nei due momenti di rilevazione, si è venuto a scoprire che è in diminuzione proprio la fiducia verso il proprio medico nel riportare i sintomi legati alla salute e nella condivisione delle proprie preoccupazioni. Ugualmente, decresce anche la fiducia verso la ricerca scientifica, e così scende nel complesso tutta la fiducia verso il sistema sanitario e la gestione di questa pandemia: «Probabilmente potrebbe essere legato alle tante interviste che ci sono state in televisione» afferma Valeria Mastrilli del ministero della Salute. Per esempio «le tante polemiche nei confronti delle istituzioni, che a volte possono essere anche giuste ma in questo momento hanno soltanto un effetto negativo di confusione nelle persone». 

Infine uno sguardo più ampio sull’attualità. Dal 3 giugno è infatti possibile scaricare l’app Immuni sul proprio dispositivo, in modo da poter tracciare gli spostamenti e i possibili casi di contagio con cui si è venuti in contatto. Dallo studio della professoressa Graffigna però, non tutti sono ancora convinti dell’utilità dello strumento: «Il 30% degli italiani ritiene assolutamente improbabile che scaricherà l’app, e nel complesso il 60% la fascia di persone ha un atteggiamento dubbioso nei confronti di Immuni. Gli ultrasessantenni sono in realtà i più positivi e predisposti, e la disponibilità cresce tra coloro che sono allertati e preoccupati rispetto al rischio di contagio e al danno economico della pandemia».