Il virus non ha solo colpito i nostri corpi ma è entrato ancora più in profondità. È arrivato a incidere indelebilmente la nostra lingua, veicolo di comunicazione e di secoli di cultura. 
Di più, ha marcato molte lingue e in particolare quelle romanze, quelle che trovano ancora oggi una matrice comune nei Paesi del sud dell’Europa, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Romania.

L’occasione per entrare nel cuore delle parole dell’emergenza da Coronavirus è stata offerta da un incontro a distanza intitolato Parole della crisi in tv. Un dialogo italiano-francese promosso dall’Osservatorio di terminologie e politiche linguistiche diretto da Maria Teresa Zanola che ha riunito intorno a un tavolo virtuale diversi esperti.

In questi mesi sono stati introdotti termini già esistenti ma che hanno assunto significati differenti modificandone l’origine. Parole come “lockdown” che, come ha ricordato il linguista Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademica della Crusca, ha origini angloamericane ed è nato nell’ambiente carcerario per indicare la situazione di isolamento dei detenuti. Da un uso specialistico se ne è fatto, dunque, un uso generalizzato che ha definito la chiusura e il blocco delle attività di molte popolazioni nel mondo.

Perché questo termine, come tanti altri entrati ormai nel linguaggio comune di tutto il pianeta? La ragione si scorge facilmente, a detta di Sabatini, nella necessità di titolazione dei giornali. In un titolo servono parole brevi e incisive e le lingue neolatine non si prestano allo scopo a causa della loro struttura. 

Se però circa otto miliardi di persone nel mondo sono interpellate da questi cambiamenti della comunicazione, occorre fare un’analisi più approfondita per valutarne l’efficacia. Siamo certi ad esempio che certi neologismi e termini anglosassoni siano comprensibili in modo verticale fino al livello più semplice della capacità sociale di intenderli?  

Ha espresso le stesse perplessità Paolo D’Achille dell’Università degli studi Roma Tre. Gli anglicismi, o anglismi qualsivoglia, hanno avuto una parte da leone negli ultimi anni grazie alla loro semplicità morfologica, e questo non costituisce un male in sé. In base alle richieste arrivate all’Accademia della Crusca, di cui il docente fa parte, si evince che diversi termini anglofoni sono ormai acclimatati nel linguaggio comune, per altri nuovi invece forse è necessario avviare una riflessione per proporre alternative che utilizzino la lingua madre.
 
L’introduzione di questi termini ha sortito anche un effetto ironico in Paesi come la Francia, dove una certa creatività lessicale ha prodotto i “coronaperó” e gli “zoomaperó” al posto dei classici aperitivi, o i “coronabdó”, gli addominali rinforzati dal ripiego della ginnastica casalinga. Bernard Cerquiglini, linguista e già rettore dell’Agence Univesitaire de la Francophonie, ha alleggerito così il tema della lingua che cambia insieme a tutti noi e agli eventi che ci coinvolgono. 

Il professore ha messo in luce anche il cambiamento dei significati dei termini. Oltre al già ricordato lockdown, anche i concetti di tracciabilità, di morbilità, di distanziamento sociale (che in francese riguarda le differenze tra le classi sociali e non la separazione fisica tra i cittadini), o ancora i termini “resistenza”, “confinamento”, “mascherina” nella sua duplice veste di protezione e nascondimento. 

Paolo D’Achille ha aggiunto altre parole e acronimi che sono entrati prepotentemente nel nostro lessico talora cambiando semanticamente di segno: untore, assembramento (o , alla francese), congiunti, ventilatore, tampone, didattica a distanza. E non ultimo l’aggettivo “virale” che per una manciata di settimane non ha più indicato simbolicamente la diffusione di un contenuto in rete ma il reale contagio del virus.

Ultimo ad intervenire ma per esporre l’indispensabile cornice in cui tutti questi cambiamenti linguistici si sono manifestati, è stato Massimo Scaglioni, coordinatore del Centro di ricerca sulle televisioni e gli audiovisivi (Certa). 

La televisione ha avuto un ruolo centrale nell’informazione sull’emergenza. Dagli anni Cinquanta e Sessanta la tv non aveva più avuto una dimensione socializzata e rituale, come il docente, insieme a Marianna Sala, spiega nell’ebook L’altro virus, Comunicazione e disinformazione al tempo del Covid-19 edito da Vita e Pensiero.

Nella cosiddetta Fase 1 il consumo della tv ha visto una crescita del 20% in Italia, seguita a ruota da Spagna, Francia e Germania. La curva che indica i consumi è cresciuta progressivamente fino al 4 maggio ed è sovrapponibile alle curve comunicate dalla Protezione civile per mostrare l’acuirsi della crisi e la crescita dei decessi. La curva ha rilevato il picco tra il 21 e il 29 marzo dove i telespettatori sono passati da 4 a 6 ore in media di fruizione di telegiornali e programmi di approfondimento dedicati al Covid-19.

Si è partiti da un primo momento di normalizzazione e scetticismo e gennaio quando arrivavano in Italia le prime avvisaglie del virus cinese che sembrava lontano e non così pericoloso, alla settimana tra il 21 e il 23 febbraio con i primi casi in Italia. L’82,5% dei notiziari improvvisamente hanno cominciato ad essere dedicati al Coronavirus e la crescita del consumo televisivo è stata dell’11,7% in Lombardia, del 9% in Veneto, Emilia e Piemonte, e del 6,5% in Italia.

È seguito poi il momento della “trincea” intorno al 5 e 6 marzo quando sono esplosi i contagi e i decessi. Indimenticabili, ha ricordato Scaglioni, le immagini apparse a Piazzapulita di La7 dell’interno di una terapia intensiva: per la prima volta le telecamere hanno ripreso immagini scioccanti che sono diventate virali su tutti i social e su tutti i dispositivi digitali, fino alle immagini potenti della preghiera Urbi et Orbi di Papa Francesco il 27 marzo che ha raccolto 17 milioni e mezzo di spettatori con punte di 27 milioni.

Infine la Fase 2, la ripartenza e l’inizio della convivenza con il virus. Il futuro che attende la tv è probabilmente un’estate con un caso fisiologico di ascolti se la situazione si normalizzerà, in attesa di una nuova ondata di informazione in autunno quando torneranno verosimilmente tensioni sociali e politiche.