La lingua è la chiave principale per leggere la realtà. E se mai non l’avessimo ancora compreso appieno la crisi in atto in tutto il mondo ce l’ha insegnato inequivocabilmente.

In modo accentuato nei documenti aziendali e nel parlato più che in tv o nei documenti ufficiali le contaminazioni dall’inglese sono un dato incontrovertibile. Ed è proprio un webinar che ha approfondito “Le parole dalla crisi alla ripresa. Un dialogo italiano-francese”, il secondo appuntamento promosso dall’Osservatorio di Terminologie e politiche linguistiche (Otpl) e dal Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi (Certa), coordinato dalla direttrice di Optl Maria Teresa Zanola. All’evento virtuale hanno partecipato i due linguisti Bernard Cerquiglini e Francesco Sabatini, Paolo D’Achille dell’Università degli studi di Roma Tre e Massimo Scaglioni, responsabile Certa e docente di Storia e economia dei media in Università Cattolica.

Come ha dichiarato Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademica della Crusca, «abbiamo colto che bisogna difendere due dimensioni: la necessità di una comunicazione a livello planetario, e una verticale nella comunità nazionale». E per fare questo non basta l’uso di una lingua, quella inglese, per quanto sia considerata la più internazionale, perché il livello di comprensione e chiarezza per tutta la popolazione deve essere sempre garantito. Inoltre si affaccia il “pericolo spazzatura” ossia, ha continuato Sabatini «corriamo il rischio di dedicare enormi quantità di tempo, risorse e denaro nell’apprendere al meglio l’inglese di cui poi ci serviamo in una percentuale di casi ancora molto bassa e di relegare nella spazzatura le altre lingue».

Proliferano gli anglismi e anche a livello istituzionale si riscontra l’uso di alcuni termini come Family Act sull’onda del precedente Job Act, così come un latinismo tira l’altro: «Mattarellum ha dato vita a Porcellum e a Rosatellum e le loro origini si radicano nel referendum…vezzi e malvezzi del linguaggio politico» - ha sottolineato Paolo D’Achille.
È pur vero che l’inglese domina nei titoli dei giornali più che non nei testi. Parole come smart working sono più immediate di “lavoro agile” o “lavoro da remoto”, sebbene non si possa eccedere. Un termine come “smartabile” non si può introdurre nel vocabolario della lingua italiana perché è malformato e perchè “abile” è un suffisso che richiede un verbo transitivo (e non è il caso di smart). 

In azienda invece gli inglesismi la fanno da padrone: skills, digital training, tools manageriali, leadership, training, webinar, coaching, feedback, engagement, community online, best practice

«Per fortuna - ha aggiunto D’Achille - qualche volta le lingue neolatine si riscattano. Come è successo con triage che è rimasto un termine francese in ambito medico-sanitario e da esso sono derivati anche triagiato e triagiare. Ci sono poi situazioni dove gli anglismi vengono messi in crisi. È il caso di termini come “riapertura” delle scuole, dei cinema, dei teatri, dove viene in aiuto la suffissazione in italiano e la prefissazione francese».

Tuttavia, ogni lingua è viva, si sviluppa e si modifica adattandosi ai tempi. Ecco che sorge l’esigenza di coniare neologismi come “mascherinato” per indicare la modalità con cui dobbiamo presentarci in pubblico. Occorre uno studio per identificare termini che qualifichino una tipologia di lavoro come quello agile per il quale non si è ancora trovato l’aggettivo italiano appropriato. 

La lingua francese è ironica e divertente nella sua costruzione. Il professor Bernard Cerquiglini, già rettore dell’Agence Universitaire de la Francophonie, ha giocato con i prefissi molto usati nella sua patria come il reconfinement o il deconfinement, per usare due parole attuali, e con il retaggio tipico delle abbreviazioni da cui spesso affiora un sorriso per l’ambiguità che lasciano trasparire. «I francesi parlano di vélo, di metro, di comm per dire communication, di conf che può essere ad un tempo l’abbreviazione di conférence o di confiture (marmellata)! Ma sono avvezzi anche a introdurre neologismi come la nuova solidaritude (che unisce solidarietà e solitudine) e suffissi legati a una particolare situazione come le “coronapistes ciclabili” perché incrementate durante l’ultima crisi».

Delle parole della crisi ha parlato anche Massimo Scaglioni che, dopo un’analisi del linguaggio televisivo nella fase 1, in queste ultime settimane ha studiato i termini della fase 2. «La presenza degli anglismi in tv non è così forte come nei testi del linguaggio delle professioni. In particolare dal 4 maggio la platea televisiva si è trasformata riportando il consumo a una condizione di normalità, mentre nella fase precedente la tv era risultata il mezzo di informazione in assoluto più utilizzato sia attraverso i telegiornali sia attraverso gli eventi mediali (le comunicazioni del Presidente del Consiglio e la preghiera Urbi et Orbi di Papa Francesco il 27 marzo). Ora si è tornati a vedere i talk politici, indice di una grande necessità di chiarificazione perché alcuni temi come quello dei “congiunti” nelle norme stabilite dal governo sono stati caratterizzati dall’oscurità».

Come si vede nel grafico mostrato nell’ultima puntata di Dimartedì su La7 non si rilevano molti anglismi, le parole più usate riguardano l’emergenza sanitaria (Covid, contagio, virus), seguono le parole della gestione politica della ricostruzione (cittadini, governo, regione, Conte), a segnalare la centralità con cui il governo italiano ha preso il palcoscenico nelle settimane degli Stati generali.

Last but non least, sempre per rimanere in tema, accennando alle nuove forme di insegnamento del prossimo anno accademico Scaglioni ha ripreso il termine inglese blended che D’Achille ha ricordato derivare dall’ambito della distilleria del whisky… Come dire, dal bar alla didattica! Una forma che ancora non è ben chiaro come si configurerà e che tutti si augurano lasci comunque di nuovo ampio spazio agli incontri in presenza e al contatto personale con gli studenti.