Per quanto riguarda le campagne vaccinali antinfluenzali 2020-2021 allo stato attuale, risultano essere 17 (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Val d’Aosta, Friuli-Venezia-Giulia, P.A. di Bolzano, Lazio, Abruzzo, Molise, Umbria, Basilicata, Calabria, Puglia, Campania e Sardegna) le regioni e le province autonome che hanno programmato la fornitura di vaccinazioni per la stagione 2020/2021.
Alcune di esse (Lazio e Calabria) hanno deliberato circa l’obbligatorietà della vaccinazione antiinfluenzale per determinate categorie a rischio (over-65 e operatori sanitari), mentre altre Regioni (Campania) hanno annunciato l’intenzione di introdurla.
Emerge in molte realtà regionali l’attenzione, in sede di programmazione, a una fornitura di dosi vaccinali specificamente dedicate agli operatori sanitari, nonché la consapevolezza dell’importanza di raggiungere un’ampia copertura vaccinale, specie nei soggetti più esposti, consentendo una riduzione al ricorso all’assistenza nelle strutture sanitarie e permettendo una più facile diagnosi dei sospetti casi di positività al coronavirus. Tali vaccinazioni sono state riconosciute di primaria importanza in epoca Covid-19 dalla WHO e dal CDC, sia per ridurre il numero di pazienti con sintomatologia sovrapponibile a quelle dall’infezione da Sars-CoV-2, sia per ridurre il più possibile la circolazione di altri patogeni respiratori causa di gravi complicanze e comorbidità.
L’adozione di politiche vaccinali specificamente rivolte agli operatori sanitari può inoltre consentire di tutelare e preservare il personale sanitario, riducendo per questo non solo i rischi in termini di salute, ma anche in termini di giorni di lavoro persi per malattia.
È quanto emerso della 17ma puntata dell’Instant Report Covid-19. Il report si è arricchito sin dalla scorsa puntata dell’analisi dell’impatto economico dell’emergenza Covid-19 nella prospettiva del Servizio sanitario nazionale.
La riorganizzazione della rete ospedaliera
Il Decreto-legge n. 34 del 19 maggio all’articolo 2 sancisce che le Regioni, tramite apposito piano di riorganizzazione volto a fronteggiare adeguatamente le emergenze pandemiche, come quella da Covid-19 in corso, garantiscono l'incremento di attività in regime di ricovero in Terapia Intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cure. Inoltre, la circolare del Ministero della Salute del 29 maggio 2020 integra e definisce le linee guida per la riorganizzazione.
A poco più di due mesi dall’approvazione del DL n.34 del 19 maggio, l’80% delle regioni italiane ha deliberato specifici piani di riorganizzazione dell’attività ospedaliera per il potenziamento della rete ospedaliera e delle terapie intensive. All’appello mancano, quindi, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Lazio e Sicilia. In riferimento ai diversi approcci messi in campo dalle regioni nella riprogettazione della rete ospedaliera, e in particolare nella riorganizzazione della rete delle terapie intensive, come previsto dall’ articolo 2 del decreto 34 del 19 maggio 2020, emerge come la maggior parte delle regioni (11) abbia optato per il modello hub and spoke. La Toscana, invece, ha optato per un modello a rete mentre Piemonte e Valle d’Aosta si sono orientate verso la definizione di Covid Hospital. In quest’ultimo caso, la scelta del modello è dovuta alla presenza di un unico presidio ospedaliero.
Sono 7 le regioni, prevalentemente caratterizzate da una consistente circolazione del virus, che hanno deliberato piani di riorganizzazione della rete ospedaliera in risposta a quanto richiesto dal DL 34/2020 e che avevano già riorganizzato l’assistenza ospedaliera. All’opposto, invece, sono 2 le regioni, tendenzialmente di piccole dimensioni e con una bassa circolazione del virus, che – al momento – non hanno approvato alcun piano di riorganizzazione ospedaliera. Altre 8 regioni e le 2 province autonome, che precedentemente non avevano riorganizzato l’assistenza ospedaliera, hanno approvato piani in risposta all’art. 2 del DL 34/2020. Infine, Lazio e Sicilia, al momento non hanno approvato piani di riorganizzazione ospedaliera come richiesto dal DL 34 ma avevano precedentemente definito un piano di riorganizzazione per la fase 2.
Analizzando l’andamento relativo alla progressiva attivazione delle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca, che servono per dare continuità assistenziale, ovvero per assistere a domicilio i pazienti affetti da Covid-19 che non hanno bisogno di un ricovero) sul territorio nazionale a partire dal DL n.14 del 9 marzo 2020, si evidenzia un costante aumento sino al raggiungimento del 49% di copertura registrato nell’aggiornamento odierno del report.
Come preventivabile, gran parte delle Usca è stata attivata nella prima fase dell’emergenza, specie in quelle regioni in cui il virus ha circolato in maniera consistente. Nella fase II dell’emergenza, le attivazioni sono, invece, ascrivibili principalmente a regioni del centro-sud, caratterizzate da una modesta o bassa circolazione del virus, mentre incrementi - seppur più modesti e riferibili alle regioni del centro/sud - si sono registrati anche nella fase III.
«Va completandosi la riorganizzazione della rete ospedaliera, come previsto dal DL 34/2020 – afferma il professor Americo Cicchetti, direttore Altems. A oggi solo in 4 regioni italiane non sono stati approvati i piani di riorganizzazione della rete ospedaliera, anche se va sottolineato come due di queste (Lazio e Sicilia) avessero già riorganizzato la rete precedentemente al DL 34/2020. Se nella prima fase dell’emergenza – continua Cicchetti – la maggior parte delle regioni ha adottato il modello per Covid Hospital, concentrando i pazienti Covid-19 in specifiche strutture, in questa fase l’orientamento prevalente delle regioni è quello Hub and Spoke, che prevede di concentrare i casi più complessi in strutture centrali – HUB – lasciando i casi meno gravi in ospedali periferici – spoke».
Tamponi diagnostici
Per quanto riguarda la ricerca del virus attraverso i tamponi, si osserva che il trend nazionale, in discesa dalle scorse settimane, è ora stabile: rispetto alla settimana scorsa, infatti, in Italia il tasso per 100.000 abitanti è di 4,98. Relativamente al tasso settimanale di nuovi tamponi, i valori più alti di tamponamento vengono registrati nelle regioni del nord (Trento, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia e Bolzano). Il valore più basso viene registrato nella Regione Campania (1,66).
Nella maggior parte delle Regioni solo una minoranza dei casi accertati di Covid-19 risulta diagnosticata a partire dai test di screening. La Puglia registra il valore più basso nella percentuale di casi totali diagnosticati a partire dal sospetto clinico (44,97%). Nella maggior parte delle Regioni la quasi totalità dei casi accertati di Covid-19 risulta diagnosticata a partire dal sospetto clinico.
«L’incidenza su base settimanale a livello nazionale conferma, come già la settimana scorsa, un dato stabilmente intorno a 2,3 nuovi casi per 100.000 abitanti» afferma il professor Gianfranco Damiani della sezione di Igiene dell’Università Cattolica. «In parallelo, si mantiene stabile il dato sui nuovi casi testati su base settimanale, circa 2,8 per 1.000 abitanti a livello nazionale. Anche questa settimana la regione che presenta l’incidenza più elevata rimane l’Emilia-Romagna e si rilevano degli aumenti di incidenza degni di nota in regioni quali Veneto, Liguria, Toscana e P.A. di Trento. Si ribadisce pertanto l’importanza di continuare a rispettare le misure di contenimento e i protocolli di sicurezza e ad operare un’attenta sorveglianza epidemiologica».
Impatto economico
È stata aggiornata l’analisi di scenario relativa ai costi per il trattamento dei casi positivi guariti e/o deceduti. Per i costi sono state considerate le tariffe Drg. Il «costo» stimato per il Ssn dei casi (guariti o deceduti) raggiunge i 657 milioni di euro.
Circa l’evoluzione dei livelli di gravità dal 30 giugno al 14 luglio si segnala un aumento della quota sia di casi tanto gravi da richiedere TI (dall’1,94% del 30/06 al 2,66% del 14/07) sia di casi che hanno richiesto il ricovero (da 17,47% a 26,50%). «Ciò porta la stima di spesa a oltre 900 milioni di euro» afferma la dottoressa Rossella Di Bidino, Research Fellow Altems.
È stata anche aggiornata la stima dei costi per giornate in terapia intensiva. Date le 186.077 giornate di degenza (al 21 luglio, dati Ministero della Salute) in terapia intensiva, ed assunto un costo giornaliero medio di 1.425 euro, il costo totale a livello nazionale si stima superi i 265 milioni.
Si conferma l’analisi esplorativa già pubblicata relativa al quadro pre-Covid-19 che evidenziava una «perdita» di ricoveri non-Covid oltre i 3,3 miliardi di euro.
Grazie al contributo del Cerismas, il Rapporto #17 analizza il caso dell’Ausl di Imola in riferimento alle “Pratiche di governo nella rete dei servizi locali”, focalizzandosi sul caso dello spegnimento del focolaio di Medicina. Posizionata a Est, la Ausl serve una popolazione di 133.480 abitanti e include anche la municipalità di Medicina, un comune di circa 16.900 abitanti situato a 25 km da Bologna e a 24 km da Imola. Il focolaio è divampato in massima parte fra il 24 febbraio ed il 6 aprile 2020, nel centro storico di Medicina e nella frazione di Ganzanigo (circa 10.500 residenti distribuiti in un’area di 9 Kmq), all’interno del territorio del comune di Medicina.
Il violento outbreak determinatosi è verosimilmente attribuibile alla concomitanza di più condizioni favorenti: la presenza di uno/più soggetti con infezione ad alta carica virale, concentrati in una area circoscritta, con contatti avvenuti al chiuso, in ambienti a elevata frequentazione da parte di persone prevalentemente anziane, fragili e del tutto impreparate rispetto ai comportamenti preventivi. Complessivamente, l’incidenza cumulativa di casi di Covid-19 notificati a Medicina ha toccato il picco di 17,3 casi x 1000 abitanti, valori equiparabile a quelli delle zone più colpite in Italia (provincie di Lodi, Piacenza e Bergamo), a fronte di un dato relativo al territorio dell’Azienda Ausl di Imola pari a 3 casi x 1000 abitanti.
Per raggiungere il risultato di spegnimento del focolaio, sono state messe in pratica le seguenti azioni: Riconoscimento precoce del focolaio e analisi di scenario; Immediato potenziamento dei servizi territoriali; Istituzione della zona rossa; Ricerca attiva e isolamento dei casi di Covid-19; Riorganizzazione dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria territoriale nel comune in cui insite la zona rossa; Comunicazione alla popolazione; Rimozione dei blocchi; Verso la normalizzazione; Medicina Covid-free.
«Anche questo caso - afferma la professoressa Antonella Cifalinò, vicedirettore Cerismas - al pari di altri narrati nei precedenti report, evidenzia un duplice messaggio chiave. Da un lato, il successo delle pratiche aziendali si fonda sulla presenza di processi organizzativi, gestionali e culturali, costruiti e rafforzati negli anni precedenti, ispirati a logiche integrative nella rete dei servizi sanitari e sociosanitari attivi nella comunità locale. Dall’altro lato, l’intensità e la pervasività dell’emergenza epidemica hanno stimolato la ricerca e l’attuazione di pratiche manageriali ancor più efficaci sotto il profilo della proattività e tempestività di intervento. Riflettere sull’eredità manageriale che può essere tratta dalle esperienze vissute in questi mesi assume massima rilevanza, non solo per generare apprendimenti utili nel prevenire e trattare situazioni epidemiche, ma anche e soprattutto per stimolare un continuo miglioramento di lungo periodo nella gestione dei servizi sanitari e sociosanitari».