L’articolo del professor Michele Massa, docente di Diritto dell’economia alla facoltà di Economia dell’Università Cattolica, fa parte dello speciale dedicato alle sfide che attendono il nuovo governo
Tra le iniziative di riforma costituzionale della XVIII Legislatura, una ha tenuto banco nei giorni della crisi di governo: la riduzione del numero dei parlamentari. Mancherebbe solo l’approvazione in seconda deliberazione della Camera dei deputati (salvo l’eventuale referendum approvativo). Oggi, sembrerebbe, quasi tutte le forze politiche sono d’accordo. In realtà, alcune mettono l’accento sull’opportunità di approvarla subito. Altre – che avevano votato contro la riforma nei passaggi parlamentari – sono preoccupate dei suoi possibili effetti collaterali, se non fosse accompagnata da adattamenti, ad esempio, del sistema elettorale e dei regolamenti parlamentari.
In effetti, il numero dei parlamentari non è una variabile da maneggiare con leggerezza. L’impatto del taglio è modesto sul versante economico: 57 milioni annui, pari soltanto allo 0,007 per cento della spesa pubblica (secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani del nostro Ateneo). Potrebbe essere più incisivo sul versante politico: se diminuisce il numero dei rappresentanti, cresce il numero dei cittadini che ciascun parlamentare rappresenta ma, insieme ad esso, anche le difficoltà nell’esercitare realmente la funzione rappresentativa (e i costi delle campagne elettorali). È amplificato pure l’effetto selettivo di una legge elettorale come quella vigente, a vantaggio dei partiti maggiori, mentre è da vedere se l’efficienza del Parlamento migliorerà.
Molto più dubbio sembra il destino di altri progetti di revisione costituzionale, anch’essi avviati in questa Legislatura, come quello in materia di iniziativa legislativa popolare.
Ci sono anche dossier che, pur senza prevedere modifiche della Costituzione, ne chiamano in causa i principi. Alcuni esempi, legati a vicende recenti e discussi anche in questi giorni: il riesame dei cosiddetti decreti sicurezza alla luce delle osservazioni fatte, a suo tempo, dal Presidente della Repubblica; le ipotesi di riforma del Consiglio superiore della magistratura.
Particolarmente complesso, da più punti di vista, è il tema dell’autonomia differenziata, sulla quale nei mesi scorsi sembrava vicino un accordo tra il Governo, poi andato in crisi, e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. A tacere d’altro, lo scorso luglio l’Ufficio parlamentare di bilancio ha sottolineato che il sistema di finanziamento delle competenze aggiuntive, che si vorrebbero conferire alle tre Regioni, presenta elementi contraddittori e preoccupanti per la tenuta del bilancio nazionale e per la solidarietà interregionale; mentre intanto, secondo l’ultimo rapporto Svimez, in un’Italia che cresce poco si riapre il divario tra nord e sud, matrice di diseguaglianze tra persone, famiglie e gruppi sociali.
C’è anche il tema dell’Europa: riuscirà l’ambizioso disegno di confermare e rilanciare il nostro ruolo in seno all’Ue e di contribuire a rinnovarla? Pure la partecipazione e gli impegni italiani in quella sede hanno rilievo costituzionale e, anzi, forse è proprio questo il nodo più importante da sciogliere.
Sarebbero domande difficili per qualsiasi compagine politica. A maggior ragione lo sono in una situazione incerta e delicata come l’attuale.