Educazione e conoscenza come strumenti per confrontarsi con le sfide del mondo digitale. È il messaggio che emerge - in vista del Safer Internet Day, la Giornata mondiale per la Sicurezza in Rete che si celebra martedì 11 febbraio - dall’iniziativa “Together for a better internet”. Rendiamo il web un posto più sicuro" promossa dal dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica insieme a Telefono Azzurro alla presenza del ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, Paola Pisano.

«Se pensiamo che nel 2019 sono stati rilevati 490 casi di cyberbullismo in Italia, 50 dei quali riguardavano bambini sotto i 9 anni, dobbiamo interrogarci perché si tratta di un fenomeno che riguarda tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale» ha detto il ministro. «Occorre aumentare il pensiero critico, la consapevolezza, le forme di ascolto dei nostri ragazzi, e proteggere più che vietare» ha continuato Pisano che spiega l’impegno del suo Ministero: «Abbiamo istituito un gruppo di lavoro insieme al dipartimento per l'Editoria, al ministro della Giustizia, al ministro della Famiglia, per iniziare a studiare il fenomeno dell'odio online e riuscire a immaginare possibili soluzioni e suggerimenti». La conclusione del suo intervento è un monito: «Gli strumenti digitali non imparano dai sogni della società ma dalla realtà».

Il digitale è parte integrante delle nuove generazioni, ma questo non deve ingannarci sul rischio che esso distrugga la dimensione umana. Un discorso che richiama non solo la sociologia, ma anche il valore etico delle nuove tecnologie. Riportando le parole di Papa Francesco, Anna Maria Tarantola, presidente della Fondazione Centesimus Annus pro Pontefice, ha sottolineato che «la digitalizzazione consiste in un processo di conversione delle informazioni analogiche perché siano fruibili in forma digitale e binaria. In questo discorso binario la dignità umana rischia di perdersi. Si rischia di perdere la capacità dello stupore».

È quanto sottolineato anche dal rettore Franco Anelli: «L’esigenza di fondare una “algoretica”, come ha detto Papa Francesco in un recente incontro sulla Promoting Child Dignity, richiede la conoscenza del mondo digitale, l’alleanza con i media quali strumenti fondamentali per recuperare uno spirito di comunità, e pragmatismo per portare i principi astratti alla concretezza». 

«È importante insegnare ai più giovani l’uso degli strumenti digitali per difenderli dai rischi - ha aggiunto il rettore - ma anche per difenderli dalla possibile deriva di diventare essi stessi tramite di condotte riprovevoli verso gli altri. La dimensione educativa è fondamentale e questo è il motivo per cui una università come la nostra vuole essere protagonista nel dibattito che non si avvale solo di competenze tecnologiche ma anche e soprattutto di competenze umanistiche».

Dunque la tecnologia è pericolosa per l’uomo? Non è così. «Stiamo vivendo il miglior livello della vita umana. Molto è stato fatto grazie alle tecnologie, al digitale» - ha commentato Michele Colajanni, professore ordinario di Ingegneria all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - «Certo ci sono delle distorsioni».

Particolare attenzione è stata data a una distorsione del digitale, il cyberbullismo. È una nuova forma di bullismo tradizionale e si caratterizza come il sexting e il revenge porn. In realtà tra bullismo e cyberbullismo vi è un elemento comune: l’attacco contro chi viene ritenuto differente. Un rimedio potrebbe essere l’empatia, una «chiave che inibisce il bullismo» come ribadito da Simona Caravita, docente di psicologia dello sviluppo all’Università Cattolica. «Quando questo si riflette nel digitale» - ha continuato Caravita - «la tecnologia in qualche modo soffoca la dimensione empatica: i ragazzi tendono infatti a ritenere il cyberbullismo meno grave del bullismo tradizionale e così hanno meno remore».

Del rapporto tra bambini e nuove tecnologie digitali si è occupato il professor Giuseppe Riva, docente di Psicologia della comunicazione in Università Cattolica e organizzatore del convegno.

«Le aree del cervello che governano il linguaggio del bambino sono quelle più colpite a causa di un eccessivo uso delle tecnologie. Quello che vediamo anche nelle scuole italiane è un aumento di tutte le forme di disturbo del linguaggio. Sappiamo che la dislessia negli ultimi anni ha avuto un vero e proprio boom e probabilmente questo è legato all’uso delle tecnologie» ha dichiarato. Recenti studi americani dicono che fra i due e i tre anni, età critica nello sviluppo del bambino, i più piccoli stanno dalle 15 alle 17 ore settimanali davanti allo schermo e questo tipicamente succede nelle famiglie che non hanno un reddito sufficiente per mandare il bambino all’asilo nido. L’educazione del figlio è delegata alla babysitter, alla nonna che usa la tecnologia come se fosse lo strumento più efficace per far stare tranquillo il bambino».

Di qui l’idea di una nuova iniziativa di ricerca. «Come Università Cattolica vorremo cercare di vedere, attraverso uno studio che faremo con colleghi americani, se effettivamente questi disturbi si verificano anche nei bambini italiani. In ogni caso conviene seguire quanto ha detto l’American Pediatric Association: evitare l’uso delle tecnologie per i bambini sotto i due anni anche se è difficile perché ne sono molto attratti».