«Cos’ha fatto Trump che gli altri candidati non sono stati in grado di fare?». Con questa domanda il vicedirettore de Il Post Francesco Costa ha aperto il 5 maggio il suo incontro con gli studenti dell’Ateneo sulle elezioni americane. A moderare Luca Castellin, docente di Comunicazione politica, e Massimo De Leonardis, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche nonché ordinario di Storia dei Trattati e Politica Internazionale.

Si parte con un’analisi della figura del noto imprenditore di Manhattan, che lo scorso 4 maggio ha conquistato la nomination repubblicana. Ted Cruz e John Kasich si sono ritirati per lo svantaggio incolmabile accumulato. La convention estiva del partito a Cleveland nominerà formalmente Trump candidato alla presidenza, aprendo così la campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali dell’8 novembre del 2016. La chiave del suo successo è l’essere imprevedibile.

Deride e insulta gli avversari con toni radicali, senza prestare attenzione a differenze di sesso o razza. Le sue gaffe avrebbero distrutto qualsiasi candidato, ma non lui, che si nasconde dietro la retorica dell’uomo arrabbiato. La gente sa che qualche volta esagera, come con la proposta del muro al confine col Messico, ma pensa anche che sia uno dei pochi a dire le cose come stanno. Trump non ha vinto per il suo estremismo, ma per la debolezza degli avversari.

Jeb Bush non è mai riuscito a conquistare abbastanza elettori e Rubio non ha retto il confronto con la gravitas del personaggio. Non si sa come rispondere quando qualcuno attacca anche il semplice gesto di bere un sorso d’acqua, una consuetudine del candidato cubano durante le sue conferenze. L’imprenditore immobiliare ha un carisma che lo rende difficile da gestire.

Sul fronte Democratico la Clinton batte Sanders faticando più del previsto. Il senatore settantenne del Vermont si trova in difficoltà quando deve dimostrare calore verso gli elettori. Ma riesce a essere sempre originale. Raccoglie molti consensi tra i giovani e si foraggia con tante piccole donazioni, che gli permettono una vasta campagna mediatica. La sua newsletter raggiunge persone anche al di fuori del partito e gli fornisce una grande popolarità.

«Sanders ha perso perché alle primarie votano solo quelli che sono registrati tra i Democratici», sostiene Costa. «La Clinton sembra un po’ artefatta e troppo costruita ed è questo che l’ha penalizzata». Trump è molto aggressivo, ma quando poi si va nello specifico rimane sul vago. Sull’Isis lui promette che lo distruggerà e chiede agli elettori di fidarsi, senza fornire un programma preciso. In America si dice che “i Repubblicani vorrebbero avere l’esercito più grande del mondo, senza usarlo mai, mentre i Democratici il più piccolo, usandolo dappertutto”. Trump è più in linea col Partito Repubblicano di quanto si pensi. La Clinton segue una linea interventista più bellicosa, che può spaventare gli elettori.

In questo momento i sondaggi indicano il magnate come il perdente, ma non è detta l’ultima parola. L’unica sua possibilità è recuperare voti tra quelle minoranze che ha sempre maltrattato durante questa campagna elettorale. Oppure potrebbe pescare tra gli astenuti, che negli Stati Uniti sono parecchi. Le persone di colore e gli ispanici sono tendenzialmente Democratici e difficilmente potranno votare la controparte. In ogni caso sarà una corsa finale pirotecnica, con Donald Trump che ha già cominciato ad affondare. Un suo tweet recita: “Se la Clinton non è riuscita a soddisfare suo marito, come potrà farlo con gli Stati uniti d’America?”. Francesco Costa sembra scettico su un eventuale recupero Repubblicano, ma il miliardario di Manhattan potrebbe ancora avere qualche asso nella manica.