di Giulia Cegani *

Un’Africa nuvolosa e caotica: non posso dimenticare il primo impatto con Yaoundé, la meta del mio Charity Work Program, anche se nel mese e mezzo di volontariato abbiamo vissuto in una piccola oasi.

Il Coe, la Ong italiana che da più di cinquant’anni opera in molti Paesi nel mondo, è situato in un quartiere non distante dal centro della capitale del Camerun, sul pendio di una delle colline che circondano la città. Ha una struttura ben articolata poiché al suo interno il centro ospita un reparto maternità, funzionante ventiquattro ore su ventiquattro, che accoglie sia le mamme del quartiere sia le molte altre donne che provengono da varie parti della città.

La struttura del Centre d’Animation Sociale et Sanitaire (Cass) è conosciuta poiché ha sempre scelto di garantire le prestazioni mediche a prezzi contenuti, a differenza degli ospedali statali in cui ci si deve assicurare di poter pagare prima di essere curati. Il Coe inoltre da molti anni promuove la cura del virus Hiv attraverso il monitoraggio delle mamme sieropositive, e questo ha portato ad azzerare il numero di bambini che nascono affetti dal virus. L’approccio vincente è determinato dalla cura integrale delle persone che si rivolgono al dispensario sanitario, dalla parte medica prima di tutto, alla cura psicologica. La struttura poi vanta diversi ambulatori che forniscono le prestazioni sanitarie sei giorni alla settimana e si sta ultimando la costruzione di un nuovo reparto all’interno del centro.

L’altra attività che si svolge al Coe è l’animazione per i ragazzi del quartiere, che crea un rapporto stabile e di fiducia tra le famiglie dei bambini e degli adolescenti che frequentano il Cass e gli animatori. Durante l’anno vengono organizzati laboratori di teatro, incontri di cineforum, sport come danza e pallavolo ma anche olimpiadi di matematica che consentono così di avere un centro frequentato dai ragazzi durante l’anno e durante le cinque settimane di attività estive (da inizio giugno a metà luglio).

Nei primi giorni io e il mio compagno di avventura abbiamo avuto l’opportunità di girare nella zona sud-est del Camerun, di visitare le città in cui il Coe ha tutti i suoi progetti e i villaggi limitrofi a Yaoundé dove si coltiva il cacao, ma per il resto della nostra esperienza abbiamo vissuto nella capitale.

Potrei provare a descrivere Yaoundé attraverso due aggettivi: una città sporca e rossa.
Camminando per strada si trova spazzatura ovunque, bottiglie di plastica lasciate ai margini della strada, gli scoli che corrono lungo i marciapiedi sono pieni di acqua putrida. Non esiste un concetto di raccolta differenziata poiché tutto può essere gettato per terra in attesa di qualcun altro che la raccoglierà.

Ma Yaoundé è sporca anche nelle storie raccolte e nelle situazioni che spesso ci siamo trovati a vivere: la sporcizia della corruzione macchia e lascia tracce profonde nella società camerunese, deprime gli spiriti e la voglia di cambiamento che entusiasma solitamente i giovani studenti che vorrebbero concretamente cambiare il loro Paese. Lo sporco purtroppo è capace di bloccare progetti di cooperazione, e a volte lo sviluppo in senso più generale.

Yaoundé però mi sono riempita gli occhi di rosso: i tramonti che colorano il cielo di tutte le sfumature calde; è un rosso che si attacca addosso attraverso la terra polverosa che si posa sui vestiti e che anche dopo averli lavati non si smacchia. Il rosso è stato quello della passione e delle amicizie che abbiamo trovato e che ci hanno fatto conoscere la città, speso attraversando i quartieri a piedi, a volte prendendo scassati taxi collettivi, tante altre volte attraverso i racconti di chi ci è nato e cresciuto.

Ogni volta che camminavo tra la spazzatura, ogni volta che guardavo le distese di tetti in lamiera e compensato, è stato questo rosso a farmi intravedere sempre qualcosa di bello al di là di tutto. Il rosso ha filtrato la sporcizia e ha permesso di riuscire a meravigliarmi anche davanti a qualcosa che era obiettivamente e paesaggisticamente brutto.

Non si può negare che ci siano state delle difficoltà nell’approcciarsi al Camerun: possiamo definirlo un “incontro-scontro”. C’è stato certamente un incontro con le persone, con lo stile di vita e con la loro cultura tradizionalmente ricca ma c’è stato anche uno scontro: pensiamo in due modi differenti e prenderne consapevolezza è stato importante. L’incontro-scontro è stato fondamentale per me in quanto studentessa di cooperazione ed accettare la differenza è necessario per apprezzare la ricchezza che due culture come quella italiana e camerunese hanno da darsi vicendevolmente.

Questa esperienza di Charity Work Program mi ha aiutato a capire come sia sbagliato pensare di poter generalizzare quando si parla di Africa. Ogni Paese africano è diverso l’un dall’altro, il villaggio è diverso dalla città, e persino ogni quartiere differisce dall’altro, ha una sua vita, ha un propria gerarchia e organizzazione. È stato importante avere la possibilità di andare “sul campo” e poter vivere tutto questo, constatando come opera una Ong italiana all’estero. Lo studio da solo non può mai soddisfare e non potrà mai preparare del tutto, soprattutto per un lavoro come quello del cooperante. Nonostante la fatica, questo è stata la mia esperienza: un piccolo, importante assaggio d’Africa.

* 23 anni, di Milano, corso di laurea in Politiche per la cooperazione internazionale per lo sviluppo, facoltà di Scienze politiche e sociali, sede di Milano