Un paziente con malattia cronica su due lamenta una qualità di vita scarsa. Questa è la prima evidenza rilevata dallo studio Engagement Monitor condotto e coordinato dal Centro di Ricerca EngageMinds HUB, insieme a venti associazioni di pazienti, familiari e volontari sul territorio nazionale. La partecipazione attiva e consapevole dei cittadini nella salute è, infatti, un tema che sta acquistando sempre più rilevanza nel panorama culturale, politico, regolatorio ed economico odierno. Restano aperte, però, le domande su quale sia l’impatto della partecipazione in sanità, quale sia il suo valore sociale, clinico ed economico, e come renderla un reale valore aggiunto per la sanità.

La ricerca, presentata in Università Cattolica, ha analizzato nella prima wave le dichiarazioni di 3.623 pazienti italiani con malattia cronica e 70 caregivers familiari. I pazienti sono nel 36% dei casi donne e hanno un’età media di 46 anni. In merito alla diagnosi, il campione si costituisce prevalentemente di persone con malattie gastrointestinali, neurodegenerative, oncologiche, reumatiche, endocrinologiche, immunologiche e cardiovascolari. Infine, nell’88% si tratta di membri di Associazioni. 

Si evince dallo studio che la percentuale dei pazienti insoddisfatti della qualità della propria vita cambia a seconda dei livelli di patient engagement: la quasi totalità (88%) dei pazienti con bassi livelli di engagement riferiscono livelli di qualità di vita molto scarsi; al contrario 8 pazienti su 10 di coloro che riportano alti livelli di engagement dichiarano una qualità di vita più che buona. 

Ma al di là delle valutazioni soggettive, anche la condizione clinica del paziente sembra cambiare a seconda dei livelli di engagement: se solo il 23% dei pazienti cronici intervistati ha subito un ricovero nell’ultimo anno, la percentuale aumenta al 34% tra i pazienti poco “ingaggiati”. Inoltre, se a totale campione, la metà (51%) degli intervistati dichiara di aver perso almeno un giorno di lavoro a causa della malattia nell’ultimo anno, il dato aumenta al 69% tra i pazienti con bassi livelli di engagement mentre si riduce al 31% tra i pazienti con più alti livelli di engagement. Infine, il 76% di coloro che risultano “disingaggiati” spende più di 50 euro al trimestre di tasca sua per farmaci da banco; al contrario la percentuale si riduce al 45% nei pazienti ingaggiati, dimostrando che l’essere ingaggiati conviene anche per il portafoglio degli assistiti.  

Anche l’esperienza dei familiari che si prendono cura di un paziente con malattia cronica è preoccupate in quanto ben il 48% degli intervistati risulta in difficoltà nella gestione attiva e efficace della cura del proprio caro e presenta alti livelli di fatica. 
Sul piano dell’esperienza di cura, se sul totale campione solo il 18% dei pazienti intervistati dichiara di non sentirsi capito dai suoi curanti, la percentuale aumenta al 44% tra coloro che hanno bassi livelli di engagement. Inoltre il 23% dei pazienti non ingaggiati riporta scarsa fiducia nei farmaci e conseguente bassa aderenza terapeutica. Il dato si riduce al solo 9% nei pazienti con alti livelli di engagement.

«Si tratta di un quadro che merita attenzione e che ribadisce il valore clinico e organizzativo della valutazione del patient engagement, anche al fine di orientare iniziative davvero atte a sostenere il benessere e il protagonismo dei cittadini e dei loro familiari nella gestione della malattia e della cura» ha dichiarato Guendalina Graffigna, direttore di EngageMinds HUB.

«La ricerca scientifica è chiamata a fornire strumenti ed evidenze al fine di sostenere un reale orientamento alla pratica quando si parla di patient engagement: questo è uno dei motivi ispiratori del progetto Engagement Monitor» ha precisato Serena Barello, coordinatore del progetto Engagement Monitor.