di Katia Biondi ed Emanuela Gazzotti

Dalla prima edizione del Rapporto Giovani del 2012 a oggi non è cambiato granché. Allora come oggi i desideri dei giovani faticano a diventare realtà. «Infatti se allora le nuove generazioni non riuscivano a trovare un lavoro e a progettare una famiglia e il problema non era solo loro ma del Paese in cui vivevano, a distanza di dieci anni la situazione è ancora desolante». Con queste parole Alessandro Rosina, coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, ha spiegato il senso del “Patto disatteso”, titolo dell’incontro che mercoledì 16 settembre ha dato voce a professionisti che hanno dialogato sul Rapporto Giovani 2020 in vista della 96° Giornata per l’Università Cattolica che si celebra domenica 20 settembre. 

Gli fa eco Roberto Fontolan, responsabile comunicazione dell’Istituto Toniolo, sottolineando l’ambivalenza del nostro Paese tra la promessa di sostenere i giovani e la realtà che non la mantiene.

Nel bilancio dei primi dieci anni del Rapporto alcune evidenze significative ribadiscono l’acuirsi degli squilibri relazionali e l’aumento delle disuguaglianze.

La cultura è, in questo senso, un ambito di analisi interessante se si pensa che l’accesso al consumo culturale, pur ampliato dai nuovi media, è fortemente legato alle risorse economiche, agli stimoli dell’ambiente familiare e al livello di istruzione. Insomma, ha sottolineato Rosina, «la classe sociale continua ad avere, e in parte accentua, forti ricadute sull’esposizione a esperienze di qualità e valore e sulla dimensione culturale».

Una delle grandi sfide è, infatti, «riuscire ad accrescere il livello culturale del nostro Paese», ha affermato Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore vicario dell’Università Cattolica. Per questo è fondamentale «investire in cultura, superando gli snodi di analfabetismo strutturale» attraverso la rottura dei «cerchi concentrici abituali».  

Dalla cultura alla politica. «Il Rapporto evidenzia anche una domanda di partecipazione sociale e politica più elevata di quanto i giovani riescano a esprimere», ha spiegato Rosina. «In particolare il desiderio di un impegno sui temi dell’ambiente e della giustizia sociale e della promozione di un modello di benessere equo e solidale». Una connotazione positiva, come ha confermato Sciarrone: «I giovani manifestano pubblicamente sensibilità nuove, dall’ecologia alla sostenibilità sociale». Una propensione a farsi coinvolgere che va «assolutamente intercettata».

Secondo il giornalista Antonio Polito «i partiti di massa erano una grande palestra oggi venuta a mancare, ma il caso Brexit ci mostra che i giovani sono un serbatoio politico che non deve essere trascurato».

Infatti, ha avvertito la giornalista Monica Maggioni, «una politica che vive di pensieri corti non è in grado di capire che nei giovani si costruisce il senso di appartenenza, cittadinanza e collettività». E adesso «se la politica decide di credere nei giovani ha a disposizione uno strumento fondamentale: la dice lunga il fatto che il Recovery fund si chiami “Next generation Eu”». 

Maggioni ha poi lanciato un monito: «Quando parliamo di giovani stiamo sempre attenti alle opportunità di partenza, altrimenti il rischio è quello di costruire una società che mostra tutti i suoi limiti creando solchi difficili da colmare». 

Eppure la visione non è del tutto negativa. Il Covid ha sì stravolto il mondo incidendo sul lavoro e sulle relazioni sociali ma può costituire un nuovo punto di partenza. Secondo i relatori questo momento rappresenta un’occasione unica per una spinta propulsiva e veicola un’energia positiva di cui i giovani si fanno portatori.

«La discontinuità prodotta dal Covid apre opportunità», ha specificato Rosina. «In questa situazione i giovani si sono trovati con una capacità di far fronte al cambiamento che non pensavano di avere e che è diventata energia positiva».

Si intravedono scenari «ibridi» che mettono insieme online e offline, unendo le conoscenze digitali dei giovani, da un lato, e l’esperienza degli adulti, dall’altro. Ne è un esempio lo smart working con cui tutti si sono necessariamente confrontati. «Siamo di fronte a un passaggio epocale - ha evidenziato Polito - perché tra dieci anni le professioni saranno cambiate e i giovani sono essenziali per costruire la società del futuro». La partita sulle nuove tecnologie è tutta da giocare.