«Non sarà possibile vedere in pochi giorni risultati concreti nei numeri ma sicuramente sul lungo periodo, tra non meno di due settimane, ci aspettiamo ragionevolmente che sia raggiunto quello che è il primo obiettivo: l’avvio della diminuzione progressiva dei contagi di coronavirus». Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma, spiega così il possibile evolversi dell’emergenza epidemiologica.

Il progressivo inasprimento delle misure preventive, «con la chiusura sempre più stretta delle maglie e la condizione di lockdown che ora interessa tutta l’Italia fino almeno al 25 marzo – dice l’esperto commentando il decreto firmato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte -, è una condizione necessaria a fronte all’aumento esponenziale del numero dei contagi», tale per cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato la pandemia. «A questo termine va attribuito un valore più psicologico che epidemiologico: si tratta della presa di coscienza dell’oggettiva presenza di una epidemia, sulla base dei numeri, anche da parte di quegli Stati più riottosi o che ancora tendono a sottovalutare il problema». Non solo. Per Cauda comporta anche «il riconoscere come questa malattia nuova, a trasmissione inter-umana, renda evidente il processo di globalizzazione: il coronavirus si è diffuso dal focolaio cinese nel mondo in poche settimane mentre negli anni ’50 la cosiddetta influenza asiatica ci mise un anno e mezzo per raggiungere l’Europa».

A ciascuno viene chiesto «un maggiore senso di responsabilità – continua il professore – e un cambiamento di abitudini che, va sottolineato, è transitorio e finalizzato a ridurre i contatti sociali solo fino a quando la curva dei contagiati da esponenziale sarà diventata lineare, per portare poi all’esaurimento inevitabile della malattia, che verrà raggiunto quanto più sarà seguito da tutti il mantra di questo momento: restare a casa». Il medico fa poi il punto sulla situazione attuale rispetto alle conoscenze scientifiche sul nuovo virus, sottolineando come «sappiamo molto ma non sappiamo ancora tutto». Tra le certezze, «il suo appartenere alla famiglia della Sars solo per l’80%, il che fa sì che il coronavirus presenti una minore letalità rispetto alla sindrome respiratoria acuta grave ma, di contro, una maggiore diffusibilità – spiega l’esperto -, che equivale a essere subdolo, tanto che c’è una quota parte di soggetti, difficile da quantizzare, asintomatici». Ancora, «abbiamo imparato che farmaci già in uso come quelli a base di clorochina, utilizzati per la cura della malaria, dell’ebola o dell’hiv, sono efficaci» e che «i sintomi del contagio sono la febbre sopra i 37,5 gradi e una tosse secca molto fastidiosa e continua, talvolta anche la congiuntivite».

Per Cauda, «sarà interessante, una volta terminati i contagi, poter testare gli anticorpi e comprendere quante persone saranno state effettivamente interessate dal coronavirus, anche senza saperlo», tenendo conto che «se all’inizio il virus ha trovato una popolazione completamente vergine e quindi che si è ammalata di più, poi lo stesso virus, circolando, ha portato e sta portando molti ad acquisire un’immunità rispetto alla malattia. È ipotizzabile, perciò, che si noterà un numero ben più alto di quello calcolato sui ricoveri e le persone effettivamente curate per coronavirus».

Non manca un accenno al comportamento degli italiani. «La gente sta reagendo in maniera tutto sommato responsabile e positiva a questa emergenza» e quanto «talvolta l’eccessiva informazione sul coronavirus possa alimentare in maniera inadeguata una preoccupazione oltre la soglia del legittimo». Infine, un appunto per i bambini e le parole da usare per motivare la necessità di rinunciare alla scuola e ai momenti aggregativi di gioco. «Si tratta di una vera e propria lezione di quella educazione civica recentemente reintrodotta nei programmi scolastici – dice l’esperto – e deve lanciare il messaggio della responsabilità che i bambini, così desiderosi di sentirsi trattare “da grandi”, possono ben comprendere: anche dal loro comportamento dipende la salute di tante altre persone».

[L’intervista è apparsa sull’edizione online di Roma Sette,  settimanale diocesano della Chiesa di Roma in edicola come dorso di Avvenire]