di Paolo Frosina

«Per fare buona musica non basta essere bravi musicisti. Per fare buona musica bisogna avere qualcosa da dire». È tutta qui la filosofia di Enzo Avitabile, celebre sassofonista e compositore napoletano - una carriera ormai quasi trentennale, 18 album pubblicati e all’attivo collaborazioni con artisti del calibro di Goran Bregovic, James Brown e Tina Turner - che è intervenuto in Aula Bontadini per una lezione sulla “musica come messaggio sociale”.

È stato un dialogo, intenso e vivace, con il pubblico e con gli altri relatori: il giornalista Michele Monina del Corriere della Sera e i docenti dell’Università Cattolica Cristina Castelli e Gianni Sibilla. L’incontro ha anticipato il concerto che Avitabile ha tenuto in serata, all’Auditorium di largo Mahler, a sostegno dei progetti dell’Università Cattolica a favore dei bambini siriani rifugiati nei campi profughi in Libano e in Kurdistan.

Prima dell’incontro è stato proiettato il docufilm “Enzo Avitabile Music Life”, opera del regista premio Oscar Jonathan Demme e presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2012.

Una volta aperto il microfono, il Maestro ha parlato a tutto campo della propria storia e del proprio modo di intendere l’arte. «Quando vi avrò annoiato ditemelo, perché il nostro peggior nemico è la retorica», esordisce. «Per questo faccio musica, perché la musica dovrebbe cercare di superare la retorica. Dietro ogni forma di comunicazione ci dev’essere sempre un pensiero».

Racconta il suo primo incontro con la musica, quella dei juke box di un tempo: «Il suono che usciva da quella scatola magica era un suono amico. Anche se non potevo capirne il senso, perché erano tutte canzoni in inglese, mi affascinava a tal punto che sognavo di incontrare le voci che venivano da lì».

Inevitabili i richiami alla sua terra d’origine, quella Napoli così presente e ispiratrice nella sua produzione artistica: «Recuperare la propria identità culturale non significa un ritorno al passato. È un passato che ha gli occhi del futuro. Significa avere consapevolezza della propria provenienza, quindi di chi si è, ma anche di quello che avviene al di fuori di sé. Per questo, sfidando gli stereotipi, ho deciso di trattare temi drammatici e d’importanza globale facendo uso del dialetto».

Gli fa da sponda Gianni Sibilla, direttore didattico del master in Comunicazione musicale di Almed: «Enzo è un esempio bellissimo di contaminazione tra la cultura musicale popolare napoletana e i generi internazionali come il jazz e la world music».

In effetti, Avitabile non si fa inquadrare facilmente in un genere o in un cliché. Ha collaborato con artisti diversissimi tra loro (tra gli ultimi, ricordiamo Mannarino, Caparezza e Rocco Hunt), e sperimentato un’enorme varietà di forme espressive. «Questo processo mi ha dato la possibilità di acquisire elementi da altre conoscenze e culture, arricchendo gli altri e facendomi arricchire».

Non si è fatto mancare nemmeno una partecipazione all’ultimo Sanremo, in coppia con Peppe Servillo con il brano Il coraggio di ogni giorno: «L’ho fatto per provare a rendere popolare il mio modo di fare musica, perché a Sanremo in quattro giorni si raggiunge un pubblico sterminato, altrimenti irraggiungibile. Io ho questa inquietudine che mi spinge sempre a cercare nuove strade e possibilità, a vivere la musica come fosse il primo giorno».