«Un conflitto si risolve mostrando di saper conoscere». Non ha dubbi, Massimo Cacciari, ospite del partecipato convegno "Islam e Occidente. Società e culture al crocevia", nel tardo pomeriggio dell’8 marzo, al collegio Ludovicianum dell’Università Cattolica. A colloquio con il giornalista di “Avvenire” Luca Geronico e con il professor Riccardo Redaelli, autore del recente Islamismo e democrazia (Vita e Pensiero), il professor Cacciari mette a fuoco le tante inadeguatezze dell’Occidente, portando avanti una disamina di ampia prospettiva storica.

«Da quando Occidente significa Stato? Da quando Occidente significa democrazia?» si chiede, incalzante, il filosofo veneziano. «Tutti i valori si sono formati storicamente. Per questo è fondamentale un richiamo al discernere. Al modo in cui la filosofia e la scienza europee ci sono state trasmesse, in larga misura attraverso la cultura araba. Metà della nostra medicina viene dal canone di Avicenna. Brunetto Latini, uno dei maestri di Dante, ha soggiornato a Toledo che era un grande centro di traduzione dall’arabo al latino». Mediazioni fruttuose e feconde trasmissioni di sapere.

«Quando la cultura araba ha incontrato quella ellenistico-bizantina, affacciandosi sul Mediterraneo, è stata pervasa da una febbre» prosegue Cacciari «un’ansia di traduzioni. Quella società era curiosa, avida di conoscere altri popoli. E la traduzione è la partenza di ogni confronto. Nel nostro “noi” c’è questo “loro”. La nostra storia, il nostro sapere. Le traduzioni si interrompono col disinteresse per la rivoluzione in atto in Occidente dal Rinascimento in poi. Naturalmente ci sono anche voci che sollecitano che si continui il percorso di conoscenza. Questo fino a che Napoleone sbarca in Egitto e lo conquista in quattro giorni. Uno shock».

Nuova acqua al mulino di chi suggerisce di tornare a curarsi dei progressi, scientifici e no, dell’Europa, ma anche tappa paradigmatica nella formazione di uno stato d’animo: «Nasce proprio allora una sorta di frustrazione» precisa Cacciari. La nostra cecità nel decifrare questi fenomeni si è trascinata a lungo: «Quando sono esplose le Primavere Arabe si è riaccesa la speranza. C’erano componenti di quei fenomeni che avrebbero potuto far prevalere le potenzialità migliori. E cosa abbiamo fatto noi? Come siamo intervenuti in quella crisi? Abbiamo fatto il gioco dello stato islamico. In Iraq, in Libia, in Siria. Lo scontro di civiltà è un assurdo. Perché Isis non è certo portatore di una civiltà islamica, ma vogliamo scherzare? Lo sforzo più grande ricade su chi tenta di intelligere, appunto, di discernere. Il confronto diventa impensabile se ci si rifiuta a priori di comprendere l’altro».

Una chiusura che influisce negativamente anche sul rapporto con se stessi: «Comprendere le ragioni altrui fa intendere meglio le proprie» puntualizza Cacciari. «Sostenere che il dialogo può avere luogo soltanto facendo scomparire le differenze equivale a seguire la logica dell’idiota. Occorre invece capire la radicalità delle differenze e lavorarle nella comprensione. Il metodo deve essere storico ed ermeneutico. Uno sforzo culturale e politico. Che tenga anche conto di quanto l’Europa abbia bisogno di immigrazione. È la demografia che lo dimostra, e se c’è una cosa scientifica nella politica è la demografia. Dobbiamo ragionare su quello che sarà il futuro dell’Europa, trasformare questa idea, spinozianamente, in una “passione calda”. Mentre oggi l’unico campo di modernizzazione comune a tutti è la tecnica, nel senso che la usiamo tutti nella più totale ignoranza. Non sappiamo quale pensiero c’è dietro a questi miracoli tecnologici che abbiamo sempre in mano. È una tragedia. Siamo usati da queste macchine, siamo appendici dello strumento: si sta realizzando in pieno la profezia marxista».