di Francesco Tedeschi *

Le doti di affabulatore e nello stesso tempo di appassionato conoscitore d’arte di Philippe Daverio sono state unanimemente apprezzate, giungendo a molti attraverso gli schermi televisivi e non solo. In Università Cattolica ricordiamo una sua piacevole e brillante apparizione quando, nel dicembre 2008, intervenne a presentare il volume di studi in onore di Luciano Caramel, Il presente si fa storia (Vita & Pensiero, 2008). 

Nella sua eleganza originale e impeccabile, con il consueto tono spumeggiante, era accorso, in un’aula Pio XI strapiena, a congratularsi con l’amico che aveva da poco lasciato l’insegnamento e che veniva onorato e festeggiato dai suoi colleghi attraverso una selezione di studi che spaziavano dall’Ottocento al Novecento, da temi di natura didattica a problemi di gestione museale.

Al centro dell’incontro tra Caramel e Daverio si collocava un episodio di qualche anno prima, ricordato dallo stesso Daverio in quell’occasione e ripreso nel volume di cui sopra dalla studiosa Sara Fontana. Durante il periodo in cui Daverio è stato assessore alla cultura del Comune di Milano (1993-1997), infatti, l’ex-gallerista si rivolse proprio a Luciano Caramel per un progetto lungimirante, ma che rimase un’ipotesi senza seguito, nonostante abbia trovato una temporanea realizzazione in una mostra in Palazzo Reale nell’estate del 1996.

Si trattava di dare un contributo fattivo alla possibilità di dotare Milano di un museo d’arte contemporanea, in quegli anni inesistente, e la proposta di Caramel e Daverio era stata di partire dalle collezioni, prima che dal problema della sede. Questa poteva essere anche realizzata attraverso la ristrutturazione di un palazzo esistente, come è successo poi con il Museo del Novecento, o in un nuovo edificio ad hoc, come sarebbe dovuto essere per il progettato museo di Libeskind, in seguito non realizzato.

La proposta di Caramel e Daverio, sotto la denominazione di Prova Generale per un Museo d’Arte Moderna, vedeva affiancate opere delle collezioni pubbliche (Galleria d’Arte Moderna, ex-CIMAC, Collezione Boschi Di Stefano), ma anche private, a cominciare da quelle bancarie (Cariplo, Banca Commerciale Italiana, Banca Popolare di Milano), e fornite da gallerie d’arte o dagli archivi degli artisti, secondo un genere di collaborazione fra istituzioni che non era ancora pienamente recepito in Italia.

L’esposizione, di circa 240 fra dipinti e sculture, venne realizzata temporaneamente nelle sale del piano terreno di Palazzo Reale, presentando opere di grande notorietà e altre più ricercate, con la voluta presenza anche di riproduzioni a parete in sostituzione di opere non concesse, per dimostrare il carattere del progetto che sarebbe stato possibile perseguire, mostrando il carattere di una certa visionarietà, quasi profetica.

Solo la vulcanicità di un personaggio indipendente e non inquadrabile come Philippe Daverio poteva accogliere e promuovere l’idea di dar vita temporanea a un museo utopico, ma fondato su una incontrovertibile realtà, quella dell’esistenza, nella cultura e nella società milanese, delle risorse e delle energie per far divenire reale quella che per altri versi è rimasta una fantasia. Tale progetto, infatti, può aver contribuito agli sviluppi successivi di una nuova geografia museale del contemporaneo, che nel nuovo millennio la città ha avviato.

A suo modo, il coraggio inventivo di Daverio, con l’aiuto scientifico di Caramel, può aver contribuito a svolgimenti che in seguito hanno trovato, per altre vie e in altro modo, una loro attuazione, per quanto suddivisa fra molteplici soggetti.

* docente di Storia dell'arte contemporanea nella facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica