La crisi che il settore lattiero-caseario sta vivendo ormai da qualche anno ha molte cause. Tra queste giocano certamente un ruolo le dinamiche dei mercati internazionali e i comportamenti dei maggiori player mondiali del settore. A ciò si aggiunge l'impatto delle politiche che vengono applicate nelle diverse aree del mondo: valga come esempio l'abbandono di quelle quote latte che nell'Unione europea hanno regolato la produzione lattiera per oltre trent'anni. 

Spesso gli studi degli esperti sono concentrati su questi fattori che agiscono tutti dal lato dell'offerta di latte e derivati. Per questo risultano particolarmente interessanti le analisi contenute nel recente “Rapporto latte”, che allargano lo sguardo anche al lato della domanda e, soprattutto, al comportamento dei consumatori.

Perché dalla lettura del Rapporto – edito da Franco Angeli ed elaborato da Smea, Alta scuola di management ed economia agro-alimentare dell’Università Cattolica, in collaborazione con l'Osservatorio sul mercato dei prodotti zootecnici – emerge che proprio l'evoluzione delle scelte dei consumatori sta avendo un impatto non secondario sulla crisi che sta attraversando il settore lattiero-caseario italiano. 

A cominciare dalla radicalizzazione di modelli alimentari in cui vengono esclusi, in parte o totalmente, i prodotti di origine animale, che tendono a evitare cibi ad alto contenuto di zuccheri, grassi e calorie e che evidenziano una particolare attenzione alle tematiche della sostenibilità e della biodiversità.

«Nello specifico per latte e derivati – spiega il professor Daniele Rama, direttore della Smea – abbiamo assistito negli anni più recenti all’introduzione da parte sia dei marchi dell’industria lattiero-casearia, sia di quelli della distribuzione, di prodotti ad alta digeribilità,dalle mozzarelle al burro. Non si tratta semplicemente – prosegue il professore – di creare una gamma di prodotti volti a soddisfare un problema limitato a quella parte di popolazione intollerante o allergica al lattosio, ma, così come avviene per i prodotti senza glutine, bisogna guardare ai consumatori che, pur non avendo esigenze specifiche, si stanno spostando verso gli alimenti free-from, percepiti, ormai in maniera generalizzata, come migliori per il benessere fisico».

Non siamo peraltro solo di fronte a "mode alimentari", c'è anche una ricerca tout court della qualità. Il Rapporto Smea-Ompz spiega che nonostante il reddito disponibile di molte famiglie italiane sia diminuito negli anni della crisi, con il conseguente aumento degli acquisti di alimenti presso gli Hard Discount e della percentuale degli acquirenti che basa le proprie scelte sulle promozioni, prospera l’attenzione verso i prodotti di qualità, ad alto contenuto funzionale, appaganti dal punto di vista organolettico, con packaging e formati studiati per la riduzione degli sprechi.

E il fenomeno si sta allargando, perché l’attenzione alla sfera della salute, alla sostenibilità ambientale e all’eticità delle filiere non sono più prerogative di una nicchia di consumatori all’avanguardia, ma stanno progressivamente diventando importanti criteri generali di scelta negli acquisti.

«Purtroppo – sottolinea il professor Rama – a questa tendenza spesso non corrisponde una documentazione corretta e una piena consapevolezza delle proprie scelte; diventa quindi essenziale che, a partire dalle autorità pubbliche, si realizzi un sistema di informazione ed educazione nutrizionale purtroppo carente nel nostro paese, che aiuti i consumatori a essere i primi garanti delle proprie scelte».