Pubblichiamo l'intervista concessa dal professor Alberto Quadrio Curzio al Sole24Ore sui temi affrontati dal Rapporto Aspen "Il futuro dell'Italia dopo la pandemia" realizzato da un Gruppo di esperti presieduti dal docente emerito dell’Università Cattolica e presidente del Consiglio scientifico del Centro di ricerche in Analisi economica (Cranec): «Necessario supportare le medie imprese esportatrici. Oggi un grande piano per le infrastrutture è la priorità assoluta per l'economia».


 

Qual è il messaggio del Rapporto Aspen che lei ha coordinato?
«Le do la mia interpretazione ma vorrei sottolineare che il lavoro è partito dalla raccolta delle proposte dei soci Aspen. Abbiamo cioè seguito un metodo bottom up. Inoltre, abbiamo mobilitato l’Aspen Junior Fellow, coinvolgendo i suoi componenti under 35 o ex componenti da poco usciti, nella discussione e nella costruzione dei cinque capitoli, le "cinque I", con un confronto fra due punti di vista generazionali differenti».

 

Qual è la sua valutazione?
«L'intonazione del rapporto sta nella fiducia in un modello di partenariato pubblico privato di tipo sussidiario: il pubblico interviene dove il privato non riesce a intervenire. È una visione in sintonia con l'impostazione europea: una economia sociale di mercato incardinata appunto sul partenariato pubblico privato. Non c'è estremizzazione mercatista e non c'è estremizzazione statalista».

 

La riflessione sul ruolo dello Stato è centrale in questa fase. Qual è il tipo di intervento dello Stato che auspicate in economia?
«Uno Stato facilitatore e non uno Stato sostituto dell'impresa. Diciamo no allo Stato imprenditore, fatte salve quelle grandi aziende pubbliche che svolgono bene il loro lavoro, anche in un'attività decisiva come R&S. Ma operazioni come Alitalia sono davvero stravaganti».

 

Un tema molto attuale è la ricapitalizzazione di imprese private da parte dello Stato, magari tramite Cdp. Cosa ne pensa?
«Penso vada promosso il modello del quarto capitalismo, fondato sulle nostre imprese private medie capaci di esportare. Ne conosco tante e sono una eccellenza del nostro Paese. Però spesso queste imprese non hanno ancora raggiunto la dimensione adeguata per stare in questa competizione internazionale, devono crescere. Questo può avvenire in vari modi: capitalizzazioni, rafforzamento patrimoniale, fusioni. Per aiutare queste imprese dobbiamo favorire forme di tutoring, anche bancario. L'obiettivo non è una partecipazione diretta ma favorire la partecipazione di altri soggetti privati, convogliare il risparmio privato. Il ruolo del sistema bancario è fondamentale in questo percorso, bisogna superare la diffidenza, o chiamiamola difficoltà di comunicazione, che tradizionalmente c'è nel nostro Paese fra sistema produttivo e sistema bancario. Se poi tra le grandi banche che aiutano il sistema industriale a capitalizzarsi in questo modo, portando il risparmio privato, c'è anche Cdp, non ho obiezioni. Ma non sto parlando di partecipazione diretta nel capitale. Tanto meno è auspicabile uno Stato che intervenga nei salvataggi aziendali».

 

Che altro deve fare lo Stato per sostenere economia e imprese?
«Il settore pubblico deve contribuire a creare un ambiente favorevole, deve stimolare e incentivare il processo di digitalizzazione, quella che io chiamo iperingegneria, favorendo gli investimenti in R&S, con la leva fiscale e non solo. Nei rapporti con le Università, per esempio, molto si è mosso, bisogna continuare su quella strada. E soprattutto lo Stato deve investire in infrastrutture. Oggi un grande piano per le infrastrutture è la priorità assoluta per l'economia».

 

Perché?
«Perché è lo strumento più efficace per spingere la ripresa dopo lo stop indotto dalla pandemia: si tira dietro tutti, tutte le componenti, arriva dove non ce la farebbe mai ad arrivare la ripresa dei consumi. Serve uno shock dal lato della domanda, altrimenti non ripartiamo e quello shock può venire dagli investimenti pubblici. Bisogna far ripartire i cantieri fermi già finanziati».

 

Avete una ricetta per accelerare la realizzazione delle infrastrutture?
«Non ci sono evidenze che funzionerebbe una generalizzazione del modello Genova, anzi ci sono tanti regimi commissariali che non hanno funzionato, che a loro volta sono fermi. Bisogna semplificare il codice degli appalti ma soprattutto pensiamo si dovrebbero spostare a valle molti controlli e autorizzazioni che oggi si svolgono a monte. Aggiungo che anche qui si può introdurre un elemento di sussidiarietà. Perché non mettiamo a disposizione della pubblica amministrazione le capacità professionali delle imprese e ne facciamo soggetti autorizzatoti? Ovviamente, questa opera di infrastrutturazione può passare, ed è bene che passi, anche attraverso un piano molecolare come quello degli incentivi alle ristrutturazioni edilizie».

 

Che pensa delle polemiche sul Mes?
«Francamente trovo incomprensibile il fatto che si dica sì al Sure e no al Mes. Bisognerebbe spiegarlo agli italiani per evitare di lasciare delle ombre. Sui piani delle condizionalità e della rendicontazione hanno le stesse regole. Sul piano degli argomenti razionali il più rilevante mi pare la riduzione dei costi per interessi: si è detto 6-7 miliardi. Perché rinunciare? Così non si dà un bel segnale all'Europa e non si acquisisce credibilità».