di Agostino Giovagnoli *

Quella dell’Unione europea è la storia di uno straordinario successo. Da oltre settant’anni un continente insanguinato per millenni da guerre terribili è diventato un continente di pace. L’Europa sperimenta inoltre una straordinaria libertà di circolazione, è l’area leader nel campo dei diritti umani, ha bandito da tempo la pena di morte. Si tratta di un modello che altre aree del mondo ammirano e imitano. Tutto bene dunque? Ovviamente no, la storia di questo processo d’integrazione è anche una storia di molteplici fallimenti e pure oggi le difficoltà non mancano. È vero però che gli artefici dell’unità europea hanno spesso saputo trasformare i fallimenti in occasioni per ripartire: dai problemi dell’integrazione europea, infatti, si esce solo non con meno ma con più integrazione.

È il caso dei Trattati di Roma, firmati nel 1957, nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio. Il processo d’integrazione europea era, infatti, partito all’inizio degli anni cinquanta con la fondazione della Ceca (la Comunità europea del carbone e dell’acciaio), iniziativa settoriale ma strategica perché imponeva, anzitutto a Francia e Germania, una stretta cooperazione per la produzione di questi elementi, decisivi per fabbricare armi e condurre guerre.

Seguì il progetto della Ced (Comunità Europea di difesa) che, ancora più ambiziosamente, si proponeva di creato un esercito comune europeo. Sarebbe stato un passaggio cruciale anche per realizzare un’Europa politica e, infatti, De Gasperi lo collegò alla creazione di un parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini del continente (la proposta si è poi realizzato a partire dal 1979).

Ma la Ced fu fermata dal parlamento francese: l’orgoglio nazionalista, acuito dalla drammatica sconfitta di Dien Bien Phu in Vietnam, impedì che la Francia accettasse di rinunciare a un esercito nazionale. Fu un grave fallimento e il percorso unitario sembrava finito. Ma, grazie anche a un’importante iniziativa europea, si ricominciò su un altro terreno, quello di un Mercato comune da realizzare gradualmente nel tempo.

È stato questo l’obiettivo che ha ispirato i Trattati di Roma e si può dire che tale obiettivo sia stato largamente raggiunto grazie alla tenacia e alla pazienza dei governanti dei Paesi europei. Sulla base di quella che è diventata la Comunità economica europea si è poi innestata la seconda stagione del processo di integrazione, quella di Schengen, di Maastricht, di Lisbona.

Come mostra l’esempio francese del 1954, gli europei sono stati spesso contro l’Europa. Si parla oggi di euroscetticismo o, addirittura, di eurofobia, come se si trattasse di novità. Non è così. Molte ricerche storiche confermano che il processo di costruzione europea è sempre stato accompagnato da resistenze e di opposizioni, di destra e di sinistra, singolarmente unite in rivendicazioni di sovranità nazionale sempre più astratte e inconsistenti.

Il punto debole dell’Europa, insomma, sono gli europei, le cui visioni limitate e i cui istinti distruttivi sono stati a lungo frenati e contraddetti da classi dirigenti animate da un disegno storico di ampio respiro e determinate a realizzarlo. Ma non è detto che vada sempre così.

Non è un caso che papa Francesco ricordi oggi insistentemente a tutti gli europei il primato della solidarietà, anzitutto verso rifugiati e migranti che cercano in Europa una via di fuga da tragedie epocali. Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, il 2017 è segnato da una serie di consultazioni elettorali che costituiscono di fatto un referendum pro o contro l’Europa: Olanda, Francia, Germania. Saranno i cittadini di questi Paesi a decidere tra l’abbandono del sogno europeo o un suo deciso rilancio. Anche le prossime elezioni italiane saranno una sorta di referendum pro o contro l’Europa, ma è probabile che quando si svolgeranno altri si siano già assunti la responsabilità sostanziale di prendere una decisione storica sul futuro dell’Europa.

* docente di Storia contemporanea, facoltà di Lettere e filosofia, sede di Milano