Piuttosto che un lavoro per l’uomo (e per la donna) si è finito col piegare l’uomo al servizio del (cattivo) lavoro. Una fatale inversione dell’ordine delle priorità, generata da scelte “strategiche” spacciate come la conseguenza inevitabile della competizione globale.
Squarciare il velo su queste scelte è la trama su cui si sviluppa il contributo dell’Università Cattolica alla 48esima Settimana sociale dei Cattolici italiani, in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017. Un “libro bianco” che raccoglie i contributi di molti studiosi dell’Ateneo.
“Lavoro, Innovazione sociale, Solidarietà. Analisi e proposte in occasione della 48a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani” (Vita e Pensiero) propone in alternativa al codice della contrapposizione, che ha minato la sostenibilità delle nostre economie, il codice dell’equità e della solidarietà, tra generi, tra generazioni, tra persone con diversa provenienza e diverso background socio-culturale.
Equità tra generazioni
A una relazione tra giovani e mercato del lavoro identificata con la brutta metafora della rottamazione - ovvero l’idea che occorra favorire il pensionamento dei lavoratori maturi per fare spazio ai giovani - va opposto il principio dell’equità generazionale. Solo in questo modo diventa possibile affrancare i giovani da una lettura della disoccupazione e della sottoccupazione giovanili in termini di destino condiviso da un’intera generazione, alimentando una sorta di “mito incapacitante” che ne ingessa le capacità progettuali.
Equità di genere e conciliazione
È una questione emblematica e rimanda alla cesura tra sfera della produzione e sfera della riproduzione, che s’è imposta insieme alla società industriale. Una cesura non estranea alla crisi di generatività, ai condizionamenti cui sono soggette le scelte procreative, alla difficoltà con cui ci si prende cura degli anziani. Oggi la questione della conciliazione è ancora affrontata non solo come questione esclusivamente femminile ma anche in modo tale da generare e rafforzare una serie di disuguaglianze. Occorre superare la rappresentazione del lavoro e della vita extra-lavoro come due domini in conflitto. La loro conciliazione favorisce sia i progetti di vita delle donne e degli uomini sia la competitività aziendale e lo sviluppo del territorio.
Equità tra persone con provenienza e background socio-culturale diversi
Il codice della contrapposizione rivela le sue conseguenze ancor più tragicamente contro-intuitive quando evoca il conflitto tra autoctoni e immigrati e i presunti vantaggi di un modello di integrazione che premia l’adattabilità di questi ultimi a svolgere i lavori che noi non vogliamo più fare, in specie i cattivi lavori, ovvero quelli che vengono percepiti come “lavori da immigrati”. L’esclusione dei lavoratori stranieri dal sistema di diritti e tutele edificato nel corso del XX secolo potrebbe prefigurare scenari allarmanti per società che, troppo spesso, sentono di non aver più bisogno di tutti i loro abitanti; o di averne bisogno solo a determinate condizioni.
Il rischio da evitare è di fare del lavoro non più un “diritto” di cittadinanza ma un “requisito” di cittadinanza. Sconcerta l’idea che l’accoglienza ai profughi debba legittimarsi con il presunto vantaggio che l’immigrazione produce per l’economia e il sistema pensionistico. Sia perché un tale vantaggio non è affatto scontato - a fronte di un’esperienza internazionale che testimonia quanto lunga e difficile possa rivelarsi l’inclusione lavorativa dei profughi e rifugiati -, sia perché il rifugio politico e il diritto alla protezione internazionale sono temi troppo nobili e delicati per poter essere ridotti al registro della convenienza economica.
Una proposta per le imprese
Creare le condizioni perché per tutti ci sia un lavoro decente e dignitoso muove a riflettere sul ruolo della regolazione, del sindacato, delle aziende. A dare legittimità all’impresa oggi non può essere solo il risultato economico ma anche una nuova idea di valore che incorpora finalità sociali, grazie alla presenza di coordinate etiche che guidano l’organizzazione e bilanciano, mitigandoli, i driver di efficienza ed efficacia. Si crea così un valore contestuale, dove la crescita è di tutte le parti in gioco, all’interno dell’impresa e nel territorio in cui essa s’innesta. E ciò si realizza attraverso l’idea di un codice di autoregolamentazione che, senza interferire con la validità del sistema di contrattazione collettiva tradizionale, potrebbe valere sia a sollecitare una presa di coscienza e di responsabilità da parte delle imprese tutte (anche e soprattutto quelle escluse dal campo di applicazione dei contratti collettivi) sia a creare le condizioni competitive, territorio per territorio e settore per settore, per “emarginare” le imprese che non rispettino gli standard di tutela comunque dovuti in base alla legge e ai contratti collettivi applicabili. Tutto ciò si concretizza, inoltre, espandendo fuori dai confini dell’azienda i benefici di quegli interventi - per esempio nel campo del welfare aziendale - che rischierebbero, altrimenti, di ampliare le disuguaglianze tra lavoratori centrali, lavoratori periferici e disoccupati.
Una nuova civiltà del lavoro
Edificare una nuova civiltà del lavoro implica l’esistenza di un sistema sociale che ha un progetto su di sé, che condivide un sistema di valori e si assume a ogni livello un compito che non è improprio definire educativo, al fine di confermare tali valori come base per la propria coesione sociale e per la stessa sostenibilità economica.
L’imperativo di raggiungere livelli di istruzione e qualificazione, quale migliore antidoto al rischio di disoccupazione e di cattiva occupazione, rischia esso stesso di ricadere in una logica individualistica se non trova sponda nella capacità di compiere scelte guidate da una intelligenza prospettica, di coniugare innovazione tecnica e innovazione sociale e, soprattutto, di rendere il senso di questa innovazione comprensibile e condivisibile a tutti, in modo di arricchire le opportunità di vita e di lavoro, ma anche la capacità e la motivazione per prendere parte a un progetto collettivo che generi una nuova civiltà del lavoro. Questo volume vuole essere un piccolo contributo in tale direzione.