Sequenziare quasi 250 genomi completi di capre, cioè fare una lettura lettera per lettera di ciò che è scritto nel Dna dell’animale. I genomi analizzati rappresentano sia le capre domestiche sia i loro antenati selvatici, e descrivono la diversità molecolare moderna e del passato, grazie all’inclusione di dati da “Dna antico”.  

Avere una base di studio così vasta è stato possibile grazie alle tecniche di sequenziamento di “nuova generazione” messe a punto negli ultimi anni,che permettono di andare a estrarre e leggere le sequenze di Dna presenti, per esempio, nei reperti archeologici: il Dna antico, appunto. 

«Oggi questa è veramente l’unica “macchina del tempo” che abbiamo a disposizione» afferma la professoressa Licia Colli, docente di Animal Science alla facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali della sede di Piacenza dell’Università Cattolica. «Ci permette non di fare una mera inferenza statistica sulle caratteristiche delle popolazioni del passato, ma proprio di recuperare dati che ci raccontano esattamente come erano dal punto di vista genetico gli animali nel periodo a cui risale il campione, quindi anche migliaia di anni fa». 

Nel corso dello studio sono stati fatti tanti confronti tra i dati genomici di capre domestiche e selvatiche, moderne e antiche, e da questi sono emerse due evidenze molto importanti che, nel linguaggio specifico del settore, sono chiamate “firme della selezione”: sia le differenze di composizione, sia la frequenza con cui si rinvengono le varianti di sequenza del Dna sono indice del fatto che la selezione naturale o artificiale ha lasciato un segno nel genoma. 

La prima firma di selezione è stata trovata in una regione del genoma contenente due geni coinvolti nello sviluppo del sistema nervoso e nel comportamento. «La spiegazione che abbiamo dato è questa: all’inizio del processo di domesticazione, gli antenati selvatici delle capre domestiche sono stati tolti dal loro ambiente naturale e spostati in un ambiente confinato, a stretto contatto con l’uomo. Questo cambiamento radicale si è tradotto in una selezione molto intensa sugli animali, anche a livello di comportamento» chiarisce la responsabile italiana del progetto, Licia Colli. «I soggetti con caratteristiche genetiche che li rendevano più docili, adattabili e capaci di tollerare il nuovo stile di vita sono stati avvantaggiati e hanno trasmesso i loro tratti alle generazioni successive. L’impatto di questo processo di selezione è stato così intenso da poter essere identificato ancora oggi a livello delle sequenze di alcuni geni del Dna». 

L’altro segno lasciato dalla selezione è stato rintracciato grazie al confronto tra le capre domestiche e le specie selvatiche loro parenti strette. Le specie che appartengono al “genere Capra”, infatti, sono tra loro interfertili, cioè si possono incrociare generando degli ibridi, con un conseguente rimescolamento del genoma. Dai risultati dell’indagine emerge che un simile processo di ibridazione è avvenuto tra il progenitore selvatico della capra, l’egagro, e la capra caucasica, un’altra specie selvatica presente in Asia sud-occidentale. Quindi, al momento della domesticazione, la popolazione dei progenitori delle capre domestiche presentava un misto di varianti genetiche, in parte derivate dalla capra caucasica. Varianti di sequenza arrivate da specie diverse oggi sono presenti in circa 100 regioni del Dna delle capre domestiche. Tra queste regioni, nell’ambito della ricerca, ne è stata individuata una particolarmente interessante, la quale contiene il gene MUC6, responsabile della produzione di una glicoproteina che forma all’interno del tratto digerente un film protettivo funzionale alla riduzione dell’ingresso dei parassiti. 

«Questa variante del gene MUC6 è arrivata dalla capra caucasica tramite ibridazione» spiega ancora Licia Colli. «Quando c’è stata la domesticazione, gli animali che prima vivevano allo stato selvatico in aree vaste e distanziati gli uni dagli altri, si sono ritrovati a stretto contatto confinati in un gregge. In queste condizioni la possibilità di diffusione dei parassiti è aumentata notevolmente: gli esemplari che possedevano, però, la variante derivata dalla capra caucasica avevano una sorta di protezione e in favore di questi ha operato la selezione naturale».

Ovviamente, nelle popolazioni di oggi sono presenti anche altre varianti dello stesso gene. Quindi per testare l’ipotesi di un vantaggio selettivo conferito dalla variante derivata dalla capra caucasica, abbiamo condotto una prova sperimentale che ha dimostrato che gli animali che possiedono tale variante hanno un’incidenza della presenza di parassiti minore rispetto a quelli che possiedono la variante alternativa non “caucasica”». 

Queste evidenze suggeriscono anche alcune possibili ricadute applicative “in campo”, come per esempio la possibilità di identificare gli esemplari di capra sprovvisti di questa variante e quindi maggiormente suscettibili ad alcune parassitosi, per utilizzare queste informazioni nei piani di accoppiamento indirizzando la scelta dei riproduttori verso quelli che possiedono la variante più vantaggiosa.

Allargando gli orizzonti, questo risultato dimostra anche che le specie selvatiche possono rappresentare una risorsa per il futuro degli animali domestici: se le ricerche genomiche dovessero identificare in queste specie altre varianti vantaggiose si potrebbe pensare di replicare ciò che è avvenuto in via naturale nel caso studiato e cercare man mano di far acquisire i caratteri vantaggiosi alle popolazioni domestiche attraverso piani di ibridazione disegnati ad hoc. «Quindi è importante che le popolazioni selvatiche vengano adeguatamente tutelate. Se dovessero estinguersi, la risorsa insostituibile rappresentata dalla loro biodiversità e a cui potremmo pensare di rivolgerci in futuro per migliorare le specie domestiche, scomparirebbe» conclude la professoressa Colli.