Cinquantun anni, giornalista di lungo corso. Una costante voglia di mettersi in discussione, la diffidenza per le cose semplici e i giudizi facili, la voglia e la necessità di approfondire e allargare sempre di più il campo di analisi. Cuore Toro. Mattia Feltri ha esordito nelle redazioni locali bergamasche negli anni '80 per poi passare prima al Foglio e alla Stampa di cui è stato capo della redazione romana ed editorialista di punta, ruolo che ricopre tuttora grazie ai suoi Buongiorno, la rubrica ereditata da Massimo Gramellini.

Da aprile di quest'anno ha assunto la guida dell'Huffington Post  la testata guidata fin dalla nascita della sua versione italiana da Lucia Annunziata. E proprio con l'HuffPost l'Università Cattolica ha appena strutturato una partnership che porterà sulla testata una sezione dedicata all'Ateneo con il contributo dei nostri docenti.

«Tutto nasce, come spesso accade, da rapporti di amicizia umana e professionale. In questo caso il legame con lo staff della comunicazione dell'Ateneo che ha dato vita a scambi proficui per entrambi. Da una parte la nostra testata ha avuto la possibilità di pubblicare contenuti di alto pregio e dall'altra abbiamo messo a disposizione della Cattolica i nostri numeri, che nell'ambito dell'online italiano, sono molto buoni. Nella sua ragione sociale l'Huffington Post si definisce una testata di informazione politico-economica ma questo non preclude la possibilità di pubblicare interventi di altri ambiti».

La domanda è ricorrente in ogni ambito e il mondo del giornalismo e dell'informazione non fa eccezione: dopo questa pandemia niente sarà come prima?
«Non cambierà il modo di produrre né la qualità sarà migliore o peggiore, ma sicuramente cambierà l'organizzazione del lavoro. Sembrava impensabile poter pensare di far uscire un giornale lavorando a distanza e invece grazie alle nuove tecnologie è stato possibile. Personalmente non credevo di poter scrivere i miei Buongiorno da casa e invece mi sono accorto che si può fare».

«Più in generale anch'io come molti ho pensato che il Coronavirus potesse essere uno di quei grandi eventi dolorosi in grado di cambiare l'anima di un popolo. Ma non è stato così. La minaccia, in gran parte del Paese, è stata vista come una cosa lontana. Se dovesse arrivare una grande tragedia economica, cosa che ovviamente non mi auguro, potrebbe essere il grande disastro che ci obbligherà a meditare su di noi, su che cos'è la democrazia e quali responsabilità comporta in ognuno di noi, perché se scarichiamo sempre tutto sugli altri i risultati la democrazia muore, ed è quello che sta succedendo oggi».

Arrivato alla guida dell'HuffPost che giornale ha trovato? Qual è l'impronta che vuole dare alla testata nella sua direzione?
«Il lavoro di Lucia Annunziata, che mi ha preceduto, è stato davvero straordinario. Ho trovato una redazione con giornalisti giovani molto rapidi con grande professionalità e capaci di intercettare le notizie e di costruirle non in modo pigro ma molto meditato. Anzi, sono loro a spiegare a me molte delle dinamiche dell'informazione online che per me sono nuove e molto affascinanti. Quel che vorrei aggiungere è l'interdisciplinarietà legata alla mia esperienza maturata negli anni. Tutto quello che ci succede quotidianamente può essere letto in modo più ampio. Faccio un esempio pratico: si guardi il pezzo che abbiamo fatto sulle implicazioni della revoca della concessione ad Autostrade. Molti azionisti di questa società sono fondi tedeschi o cinesi. Non è una questione italiana ma mondiale. Ed è un esempio pratico di cos'è la globalizzazione e del perché non ne possiamo più fare a meno, per quanto possa essere regolamentata. Ma se non si hanno gli strumenti per ampliare lo sguardo molte cose non si capiscono. L'interdisciplinarietà è importante proprio per questo».

Le varie edizioni dell'HuffPost sono molto differenti tra di loro. Quella italiana ha un modello di riferimento o ha una sua precisa identità?
«La versione italiana è unica nel suo genere per volontà di Lucia Annunziata. Dal punto di vista estetico-grafico il sito oggi mostra molti limiti ma in realtà ha un'efficacia spaventosa e ho capito benissimo perché Lucia l'ha scelto. Alla fine della giornata a un lettore che ha bisogno di un'informazione rapida e snella basta dare un'occhiata a quest'infilata di titoli e ha capito cosa è successo nel mondo: una cosa stupenda. Detto questo tra qualche mese saremo costretti a modificarla perché abbiamo la necessità di adeguare la nostra grafica al mobile (da cui passa l'88% del nostro pubblico) e di inserire un canale video che in questo momento non è presente e che non è possibile non avere. Sarà doloroso abbandonarla ma è necessario adeguarsi ai tempi e alle esigenze».

Lei da giornalista 'nato' sulla carta stampata adesso guida un'importante testata online. Continuando la sua attività di editorialista su La Stampa si trova a cavallo tra due mondi spesso posti in contrasto tra loro...
«La carta stampata non ha ancora trovato la sua strada e si rifugia in quello che possiamo definire uno sconfortevole e sconfortante passato. Deve cambiare, questo lo sanno tutti, ma nessuno ha ancora capito come. Se si osservano i temi trattati e la titolazione si può notare come la carta stampata ormai non possa più essere il giornale del 'giorno dopo'. La contrapposizione web-notizia/carta-approfondimento è una stupidaggine ed è superata. Nella mia idea di giornale online c'è ovviamente la necessità di dare la notizia in modo rapido anche se la velocità spesso è nemica della qualità: ma questa è una sfida da vincere. Tuttavia, da parte mia, c'è anche la volontà di scrivere pezzi online che non siano legati alla logica dell'ora per ora. L'obiettivo è quello di unire le due anime. Faccio un altro esempio: qualche anno fa ho scritto un pezzo dedicato alla riabilitazione di Ilaria Capua per La Stampa. Era un articolo lunghissimo: da quando è stato messo online il giorno successivo alla messa su carta è diventato il secondo pezzo più letto dell'anno del sito. Una cosa che mi ha fatto riflettere e che smentisce tutti quegli studi di mercato che ci dicono che dopo dieci righe il lettore molla un articolo. La misura non è mai un problema, né per la carta né per l'online. Se il lettore si stufa bisogna fare un articolo migliore, non uno più corto. L'importante è sapersi mettere in discussione».

Come è cambiata la sua vita con il passaggio dalla carta all'online?
«Cambia soprattutto l'aspetto psicologico. Quando lavori in un giornale cartaceo hai comunque la percezione che il prodotto del tuo lavoro uscirà il giorno successivo. Nell'online scompare totalmente l'idea di edizione, è un continuo rinnovarsi. Ad avere le forze sarebbe bello continuare ad aggiornare il sito anche di notte. È perennemente incompleto e questo ti fa sentire sempre vivo».

Un altro dibattito molto sentito nel mondo dell'informazione è quello sulla formazione dei giovani giornalisti e il ruolo delle Scuole di Giornalismo. Lei cosa ne pensa?
«Un mestiere, e questo vale per tutti i campi, si impara facendolo. Io appartengo a una generazione dove a 24-25 anni si era giornalisti già fatti ma era anche un mondo dove l'accesso alla professione era molto più facile. Oggi, in generale, spesso i giovani non sono pronti ma le Scuole lo hanno capito e hanno puntato molto sulla formazione online. In questo campo i risultati si sono visti e i ragazzi che arrivano dalle Scuole di Giornalismo sotto questo aspetto sono decisamente più pronti rispetto al giornale cartaceo. E anche questo è un segno dei tempi».

Esce in questi giorni "Il libro dei giorni migliori. Ritratto di un Paese ad altezza d'uomo" una raccolta dei suoi Buongiorno per La Stampa. C'è un corsivo che vuole ricordare?
«Uno che nel libro non c'è. Un commento relativo a una notizia di una ragazza musulmana che era stata obbligata a sposarsi ma che l'indomani si era poi rivelata essere una fake news. Quando ho chiesto scusa per quanto avvenuto ho commesso forse l'errore di scrivere - probabilmente in modo imprudente e ingenuo – che “il ragionamento di fondo comunque rimaneva” e sono stato accusato di razzismo. Cosa che ovviamente non è vera. Ma ormai conta solo il tweet, mai la biografia, la storia personale di chi lo ha scritto. E questo è un processo che non prevede mai l'assoluzione, la sentenza è inappellabile e definitiva. Viviamo in una dittatura dell'attimo. Questa è una cosa spaventosa. Nella vita le cose non sono mai così nette e delineate, quando ci dicono che una cosa è molto semplice, probabilmente è molto sbagliata».

Chiusura calcistica. Quest'anno il suo Toro non le ha dato grandi soddisfazioni.
«Il campionato del Torino è stato un po' come il domino: quando le cose vanno bene sembra che tutto vada benissimo, quando vanno male tutto va malissimo. Per il momento mi basta che resti in A...».