Un Dìa Negro davvero historico. L’ormai tradizionale appuntamento con il giallo, giunto ormai all’ottava edizione, quest’anno ha avuto come tema centrale il thriller di ambientazione storica. «Una scelta un po’ voluta e un po’ casuale proprio come la letteratura», ha dichiarato Dante Liano, docente di Letterature ispano-americane e direttore scientifico della manifestazione.

Confermata la formula che ha diviso l’evento in due sessioni, la prima, interamente in lingua spagnola, ha visto protagonisti gli scrittori latinoamericani mentre la seconda è stata l’occasione per incontrare un protagonista della scena noir nostrana.

Per la sessione ispanica quest’anno sono arrivati in Cattolica Alfonso Mateo Sagasta, Antonio Sarabia e Dante Barrientos Tecùn. Sarabia, parlando della struttura tecnica del romanzo storico, ha ricordato come uno dei tratti fondamentali di questo genere sia la commistione tra personaggi fittizi e realmente esistiti mentre Sagasta si è soffermato sulla figura del protagonista del suo ultimo romanzo, Gonzalo Guerrero, un soldato spagnolo che decise di lottare al fianco dei Maya contro i suoi connazionali. Il libro, si intitola Caminaràs con el sol e ha recentemente vinto il prestigioso premio letterario Caja Granada.

«Gonzalo è un personaggio fantastico - ha detto Sagasta - soprattutto dal punto di vista letterario. Come è possibile infatti che un uomo “civilizzato” e battezzato decida di combattere contro i suoi concittadini? Cos'è passato nella testa di quest’uomo quando ha deciso di lottare al fianco degli indigeni? Questa è la gran domanda che mi sono posto al momento di scrivere il romanzo. In fondo – ha proseguito – il sacrificio di Guerrero ha una dimensione decisamente religiosa e può ricordare il sacrificio di Cristo. Guerrero si schiera al fianco delle vittime, degli oppressi e muore, lui spagnolo al fianco dei Maya, forse anche per redimere gli spagnoli delle loro efferate azioni contro gli indios».



Nella seconda parte della mattinata è stato invece il turno di Alfredo Colitto. Intervistato come di consueto da Luca Crovi, critico rock e conduttore radiofonico del programma di RadioDue Tutti i colori del giallo, lo scrittore oltre che sui suoi thriller d’ambientazione medievale ha parlato anche del suo lavoro di traduttore. «Ho cominciato per un motivo molto semplice: dovevo mangiare. Dapprima mi venivano affidati testi decisamente ostici, ricordo ancora di un manuale di astrologia esoterica… poi dopo aver intrapreso, con fortuna, la carriera di scrittore sono arrivato a poter permettermi di scegliere gli autori da tradurre. Ora più che un lavoro è un utilissimo divertimento che mi permette di “mettere le mani” sui romanzi di scrittori che stimo tantissimo come Don Winslow e Joe Lansdale».

Colitto, che è tornato quest’anno in libreria con Il libro dell’angelo, terzo episodio della saga che ha come protagonista il medico Mondino de’ Liuzzi, ha poi svelato come nasce un suo romanzo: «Dipende dalle circostanze – ha spiegato – per quel che riguarda il primo romanzo della saga, Cuore di ferro, lo spunto mi venne da una visita che feci da ragazzino alle cosiddette “macchine anatomiche” di Ranieri di Sangro, un nobile che, secondo la leggenda, riuscì a trovare il modo di trasformare il sangue in ferro. Mito o meno, la visione di quei due sfortunati cadaveri mi impressionò tantissimo. Per gli altri romanzi gli spunti arrivano da varie fonti come internet (su cui però non si può fare troppo affidamento quando si inizia la documentazione vera e propria) i libri che traduco e quelli che leggo. Lavoro molto in biblioteca e la cosa mi piace molto. Per il mio ultimo libro, ambientato a Venezia, ho trascorso molto tempo alla Marciana, in piazza San Marco. Non è da tutti uscire per la pausa caffè e trovarsi sul set del romanzo che stai scrivendo!».

Lo scrittore, non ha poi mancato di raccontare al pubblico la sua esperienza latinoamericana che lo ha visto viaggiare, per anni, dal Messico al Costarica fino a risalire verso la California: «Sono partito lasciando un posto fisso, non era la vita che faceva per me, e sono tornato praticamente senza essermi fatto una posizione, tanto che, come raccontavo, al ritorno in Italia mi sono dovuto inventare un lavoro. Durante il viaggio, per mantenermi, ho fatto svariati mestieri dal venditore di ambra all’insegnante d’italiano. E’ stato un periodo molto importante della mia vita che a distanza di anni continua a fornirmi spunti d’ispirazione e non è un caso che il mio primo romanzo, Cafè Nopal, e quello che sto scrivendo siano ambientati in gran parte in Messico. Un Paese molto vitale, nonostante tutti i problemi che possiamo immaginare, dove la gente ha una gran voglia di sapere le cose, di conoscere. C’è una voglia di cultura che si tocca con mano. Ho assistito personalmente a presentazioni di libri di poeti, tutt’altro che famosi, in cui c’erano 80-100 persone. Una cosa impensabile qui da noi».