È possibile informare sul mondo della disabilità con un linguaggio appropriato, corretto e rispettoso delle persone coinvolte? I giornalisti in particolare conoscono la terminologia adeguata quando affrontano il tema della disabilità? Sanno che, se è vero che è offensivo il termine “handicappato”, è anche inappropriato parlare di “disabile” (e basta) o di “portatore di handicap” e, peggio, di “diversamente abile”?

Quando si affrontano questioni relative alla disabilità, ci si trova di fronte a persone, e la persona viene prima rispetto ad altre accezioni o qualificazioni. Non si può indicare la persona con un sostantivo che talvolta suona dispregiativo, ma al massimo con l’aggiunta di un aggettivo. Pertanto occorre parlare di “persona disabile”, “studente disabile”, “mamma disabile”, ecc.

Sui temi della comunicazione e dell’informazione corretta nel campo della disabilità si è concentrato, in prospettiva interdisciplinare, l’incontro promosso dal Centro di Ateneo di Bioetica e Scienze della Vita, moderato da Lucio Bussi, del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, rivolto proprio ai giornalisti che si sono ritrovati in Università Cattolica il 25 settembre ad ascoltare gli interventi di esperti del settore e di testimoni. I relatori, con l’ausilio di esempi pratici, video e in dibattito con il pubblico, hanno cercato di informare relativamente al linguaggio consono da usare con e sulle persone disabili, mettendo in guardia da una terminologia ormai acquisita e utilizzata, che talvolta – pur involontariamente – risulta offensiva (ad esempio, il cieco ritiene che essere chiamato “cieco” è meglio di “non vedente”, la cui accezione in negativo va a rafforzare una differenza rispetto alla maggior parte delle persone).

Il professor Adriano Pessina, docente di Filosofia morale dell’Università Cattolica e componente del comitato direttivo del centro di Bioetica, ha ribadito l’attenzione dell’Ateneo al mondo della disabilità, tanto da essere stata la prima a istituire il Corso di Alta Formazione in Disability Manager, oltre a produrre diversi contributi scientifici. «Le parole sono importanti ma non sono innocenti», ha detto. Per sgombrare il campo dagli equivoci e dagli stereotipi, la disabilità non indica le persone, e non va confusa con la patologia, ma indica la relazione che intercorre tra persona e ambiente. Il fattore sanitario va disgiunto da quello sociale: la persona down, per esempio, al di là del suo essere, ha diverse modalità di relazione e di reazione a seconda del contesto in cui è più o meno inserito. In tal senso la persona disabile non ha “bisogni speciali”, ma “modi speciali” per rispondere a bisogni universali (come lo spostarsi, l’alimentarsi, ecc.).

Una testimonianza concreta sulle modalità di supporto delle grandi aziende a vantaggio delle persone disabili è stata portata da Federica Bonsi, Disability Manager di UniCredit, e da Consuelo Battistelli, Diversity Engagement Partner IBM Italia, con esempi di attenzione delle aziende alla soluzione di problemi, anche minimi (il parcheggio dell’auto o l’uso dei servizi adattati), che si attuano con scelte aziendali di welfare. Il tutto per favorire e promuovere una cultura inclusiva, l’accessibilità fisica, digitale e lavorativa, perché ogni storia di disabilità ha una sua peculiarità.

Molto concreto il video della giornalista Alessia Bottone, dal titolo “Ritratti in controluce. Cecità, stereotipi e successi a confronto”, che ha reso visibili storie che dimostrano come le persone disabili affrontano la quotidianità (paradossalmente non ci sono le barriere architettoniche per salire sul marciapiede ma poi non è possibile entrare in un negozio perché l’accesso è ostacolato da gradini o altro).

Toccante la testimonianza del giornalista disabile Antonio Giuseppe Malafarina di Invisibili Corriere.it che ha tenuto a ribadire che “i disabili (si può usare il termine al plurale perché indica una comunità di persone) non sono malati e non sono contagiosi”, quindi ha invitato a non avere paura di accostarsi loro e di rivolgersi in prima persona, utilizzando un linguaggio appropriato (la sedia a rotelle si chiama “carrozzina” e non “carrozzella”, che è quella dei cavalli).

La conclusione del convegno è stata affidata all’avv. Marisa Marraffino che ha illustrato il profilo giuridico dei problemi delle persone disabili dal punto di vista di possibili denunce in caso di linguaggio lesivo della dignità della persona, e di violazione della privacy in caso di divulgazione di dati sensibili relativi alla disabilità.