Una riforma molto positiva con solo alcuni punti di debolezza. È netto il giudizio del professor Marco Grumo, docente di Economia aziendale e coordinatore scientifico dell’Executive master in Social Entrepreneurship dell’Alta Scuola Impresa e Società (Altis), ora anche direttore scientifico della nuova business unit dell’Ateneo Cattolicaper il Terzo Settore (vedi box a lato).

La riforma, attesa da anni in un settore molto accresciuto dal punto di vista dimensionale, mette ordine in una serie di norme che risultavano parziali e non coordinate tra loro. Ma «potrà funzionare solo se sarà applicata dal singolo ente su un progetto di impresa (sociale) solido e sostenibile sul piano economico» afferma il professor Grumo.

La riforma introduce una serie di elementi positivi. «Innanzitutto, viene fatta una distinzione chiara tra gli enti del Terzo Settore e le imprese sociali. Aumentano le agevolazioni per il fund raising, sia per quanto riguarda le persone fisiche che per le imprese. Aumenta la possibilità di immettere capitali di rischio nelle organizzazioni, in modo particolare nelle imprese sociali» spiega il direttore di Cattolicaper il Terzo Settore.

Altre novità in positivo? «Sono stati regolati alcuni aspetti della vita ordinaria di queste organizzazioni (soprattutto il tema degli amministratori, delle assemblee, la partecipazione alle stesse, ecc). È aumentato il loro livello di trasparenza (ci saranno quindi bilanci molto precisi, il bilancio sociale, il registro del terzo settore). È prevista, infine, la possibilità di emettere in modo più agevolato dei social bond, cioè dei prestiti/dei titoli di carattere sociale».

Accanto a questi aspetti positivi molto rilevanti, però, la riforma presenta dei punti di debolezza. In primo luogo, non è stato riformato il Codice Civile. «Sul Terzo Settore le norme risalgono al 1942 e questa avrebbe potuto essere l’occasione per adeguarle al 2017» fa notare il professor Grumo.

In secondo luogo, sono stati inseriti degli obblighi di controllo giusti, ma troppo stringenti e onerosi per le piccole-medie organizzazioni: «Sono state adottate le regole delle grandi organizzazioni, in tema per esempio di funzionamento degli organi, di gestione delle attività e di impatto sul bilancio (collegio sindacale, maggiori responsabilità degli organi di controllo, degli amministratori), che comportano costi crescenti con dinamiche di governance con crescenti gradi di complessità».

Terzo limite: non è stata liberata la possibilità di creare auto-finanziamento da attività diverse dai settori benefit. «Se si è fuori da questi, non è possibile svolgere attività di impresa, oppure, se la si svolge, l’attività risulta molto vincolata, sia nell’oggetto sia nella quantità».

Generare utili e fare impresa liberamente è ancora un po’ difficile con questa riforma: se un’impresa riesce a stare all’interno delle attività benefit e nei pareggi di bilancio va bene, ma se inizia a fare utili o comincia a fare impresa liberamente ci sono dei vincoli. «Ho contato 67 vincoli all’imprenditorialità in questa riforma» sottolinea il professor Grumo che, come ultimo punto debole vede una disciplina della distribuzione indiretta degli utili ancora troppo invasiva: «non si possono pagare gli amministratori o i dipendenti più di un certo limite e non si possono remunerare gli strumenti finanziari più di un certo limite, pena la perdita della qualifica e del patrimonio».

In una riforma complessivamente molto positiva, su alcuni punti come la libera impresa e la collaborazione con imprese profit, è prevalsa ancora una linea molto sospettosa, nonostante queste realtà costituiscano dei soggetti imprenditoriali molto importanti e di welfare importante.

Secondo il direttore di Cattolicaper il Terzo Settore sarebbe stato necessario concedere maggiori libertà a fronte dell’introduzione di obblighi di trasparenza e di controllo molto serrati. Anche perché oggi il sociale è un mercato a tutti gli effetti, in cui ci sono player forti, più liberi e agevolati: mentre le PA sono totalmente finanziate e le società profit hanno diritto a incentivi e possono liberamente determinare la propria attività, i propri utili e la propria distribuzione, i soggetti non profit non ottengono finanziamenti specifici e usano risorse proprie.

L’utile, le attività unrelated (dirette e indirette) con funzione di auto-finanziamento e le partnership con le imprese non sono ancora possibili liberamente. La sostenibilità economica per gli enti del Terzo Settore si costruisce con le attività di interesse generale (vincolate dal finanziamento pubblico), con le agevolazioni fiscali, con la raccolta fondi occasionale (parzialmente agevolata) e con il social lending. Per tutti questi motivi, per condurre queste imprese in un contesto competitivo (non paritetico) e con queste norme tutt’altro che agevoli per chi gestisce, bisogna essere molto preparati in una realtà altamente competitiva. Il beneficio di questa riforma andrà valutato caso per caso, essendo un settore molto vario.