La notizia fece subito il giro del mondo, quando l’International Agency for Research on Cancer (Iarc) mise in guardia contro l’uso eccessivo di carni rosse nelle nostre diete. Con coda di chiarimenti, smentite e contro-smentite che occuparono per molti giorni carta stampata e web, creando il fronte a favore e quello contrario all’Agenzia legata all’Organizzazione mondiale della sanità.
Ma c’è davvero un relazione tra consumo di carne rossa e conservata e il rischio di tumore al colon-retto? «Lo Iarc ha dichiarato che ingestioni superiori a 70 grammi al giorno nel consumo di carne rossa possono aumentare il rischio» risponde Filippo Rossi, ricercatore dell’Istituto di Scienze degli alimenti e della nutrizione della sede di Piacenza, che ha promosso il convegno dedicato al ruolo dell’alimentazione nella prevenzione delle patologie tumorali (qui a lato). «Inoltre un aspetto abbastanza trascurato dai media è stata l’attenzione che la monografia dello Iarc dedicava ai nitrati che vengono usati come conservanti negli insaccati. Su questo c’è da dire che in passato il loro impiego era molto più alto, ma oggi la ricerca ha consentito di ridurre tantissimo la loro presenza nei salumi».
«L’indagine epidemiologica pubblicata recentemente è però inevitabilmente stata condotta sui risultati raccolti negli ultimi 20-30 anni, e non può quindi tenere conto della situazione attuale» fa notare il ricercatore della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali. «I nitrati del resto sono presenti anche nell’acqua, come risultato del ciclo dell’azoto nell’ambiente e in alcune verdure a foglia larga, dove rappresentano un normale metabolita. Anche in questo, i progressi nelle modalità di concimazione possono fare la differenza, riducendo il livello di nitrati. La dieta degli italiani si sta sempre più impoverendo di fibre e questo rappresenta un fattore di rischio per esempio rispetto al tumore al colon».
Aumentare il nostro consumo di legumi potrebbe essere una mossa vincente: «I legumi sono un’ottima fonte di fibra che crea un ecosistema intestinale sfavorevole all’insorgere del tumore». La frutta poi, spesso trascurata, è preziosa sia per l’apporto di fibre, sia per gli antiossidanti. Quindi «il discorso non è carne sì o carne no», spiega Rossi rinnovando l’appello a una dieta diversificata.
Gli chiediamo della dieta mediterranea. «Ci sono anche diverse diete mediterranee» sorride «ma bisogna considerare che in genere prevedeva poca carne, pesce, tanta verdura, frutta. Un uso ridotto del burro rispetto all’olio d’oliva e il formaggio. Il fatto che ci siano in Italia, dalle Alpi a Lampedusa, ben 49 formaggi Dop più quelli Igp, significa che i nostri bisnonni hanno sempre impiegato questo tipo di alimento. Per capire anche la minor incidenza di diabete o obesità di allora, bisogna pure considerare che negli anni Quaranta la gran parte della gente lavorava nei campi e lo faceva con la zappa, la meccanizzazione non era ancora diffusa. C’era molta più attività fisica. Oggi siamo più sedentari e, da un punto di vista alimentare, negli ultimi tempi si consuma molta più carne di maiale rispetto al pesce, con un rapporto tra acidi grassi omega 6 / omega 3 tutto a sfavore di questi ultimi».
Un esempio in negativo su tutti? «Il pranzo di molti studenti. Il panino o la piadina. Poca gente prende insalate. È anche una questione di stili di vita. E c’è da valutare che un panino costa meno di un’insalata. Si dovrebbero recuperare il pesce, i legumi, la pasta integrale. E badare anche ai contaminanti. In questo campo la facoltà di Scienze agrarie di Piacenza ha un’esperienza pluridecennale».
Rossi ha anche parole di chiarezza sulla moda sempre più diffusa degli integratori: «Sono una possibilità, il vegano dove trova la vitamina B12 se non in farmacia? Lo stesso discorso vale per il ferro, soprattutto per le donne in gravidanza. Bisogna tenere presente anche che spesso si usano gli integratori per aggirare alcune normative del farmaco. Vengono venduti come integratori quelli che di fatto sono medicinali. È il caso della monacolina, che è prodotta da un fungo, il Monascus purpureus, ed è assai vicina alle statine, che vengono impiegate per abbassare il colesterolo. Quindi le potenzialità di mercato sono enormi. In generale gli integratori vanno pensati come la possibilità di fornire un nutriente mancante, non una molecola che ha un valore extranutriente».