di Paolo Balduzzi *

Per il quarto anno consecutivo, abbiamo misurato le condizioni che determinano la valorizzazione del merito in dodici Paesi europei. E per il quarto anno di seguito, l’Italia si classifica ultima.

Al top della classifica i Paesi scandinavi (Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia), al centro – con comunque ottime performance – altri Stati del centro Europa (Olanda, Germania, Gran Bretagna, Austria e Francia), e in fondo Polonia, Spagna e Italia.

Ma cos’è la meritocrazia? Come si definisce? E da che cosa dipende? Il termine è certamente molto controverso, tanto è vero che ognuno di noi ha probabilmente in mente un’accezione diversa e personale del concetto. E nonostante questo, con altrettanta probabilità tutti diremmo che in Italia la meritocrazia manca e che il merito non è premiato. Più importanti la famiglia di origine, la regione di nascita, il genere di appartenenza o anche solo la rete di conoscenze e amicizie personali.

Per dare sostanza e per verificare tutto ciò, la nostra ricerca - che nasce dalla collaborazione con il Forum della meritocrazia (Giorgio Neglia) e ha coinvolto il Laboratorio di statistica applicata dell’Università Cattolica (Andrea Bonanomi, Alessandro Rosina) - ci ha permesso di misurare questo concetto. E purtroppo di confermare che l’Italia è ultima tra i Paesi europei per meritocrazia e per ciascuna delle condizioni che, secondo la nostra misura, lo determinano.

Quali sono queste condizioni? Libertà economica, certezza del diritto, qualità del sistema educativo, attrattività dei talenti, pari opportunità, mobilità sociale e trasparenza. Un disastro, senza usare mezzi termini.

Come se ne esce? Nel lungo periodo servirà sicuramente un cambio di mentalità: ma quale miglior modo per non affrontare davvero un problema che nascondersi dietro a parole come cultura, costumi e mentalità.

È la politica che deve invece occuparsi delle risposte di breve e medio periodo: chiediamo quindi al legislatore di mettere innanzitutto al centro dell’azione di governo i più giovani, di investire di più sulla formazione, anche a scapito di interventi sulle pensioni, tema elettoralmente molto sensibile ma strategicamente da affrontare in maniera critica.

Chiediamo di rendere più semplice l’attività economica, di non discriminare i lavoratori in base all’età e al genere ma solo in base a competenze e capacità. Di investire in infrastrutture, per sostenere ma anche responsabilizzare chi vuole creare ricchezza. E di non dimenticare chi, anche preso dallo sconforto, ha deciso anni fa di comprare un biglietto di sola andata.

* docente di Scienza delle finanze e di Economia pubblica alla facoltà di Economia, campus di Milano