Oltre quattro imprese su dieci avvertono la necessità di cambiare il proprio modello organizzativo, ma solo il 4% ha adottato un modello circolare e partecipato, che prevede meno gerarchie rigide e differenze di ruolo e una maggiore propensione all’autonomia e alla responsabilizzazione dei dipendenti, e solo il 6% si sta muovendo in questa direzione.

Sono alcuni dei risultati dell'HR Trends and Salary Report 2018, realizzato da Randstad Professionals, la divisione specializzata del gruppo Randstad, secondo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane, che si occupa della ricerca e selezione di middle, senior e top management, in collaborazione con l’Alta Scuola di psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica di Milano, sulla base di interviste – condotte da Praxidia, società specializzata in ricerche di mercato e consulenza nella gestione della customer experience - eseguite tra febbraio e aprile 2018 a 283 professionisti e dirigenti dei dipartimenti HR di aziende italiane di diversi settori. La ricerca ha analizzato le tendenze e gli sviluppi del settore delle Risorse Umane e dei processi di selezione in Italia.

Il Rapporto mette in evidenza che in generale l’80% delle imprese italiane deve fare i conti con una carenza di competenze al proprio interno e a questo problema sono legate le principali sfide indicate dai professionisti HR: per il 2018 puntano soprattutto a far crescere le performance e la produttività (indicata dal 57% dei professionisti HR), trattenere i dipendenti più qualificati (55%), attirare i migliori talenti sul mercato per le successive fasi di crescita (54%).

Per affrontare queste sfide oltre quattro imprese italiane su dieci (44%) avvertono la necessità di un’evoluzione della propria struttura organizzativa e il 42% guarda con interesse a un modello di organizzazione partecipata e circolare, che comporta la rinuncia a gerarchie rigide in favore di un progressivo ridimensionamento delle differenze di ruolo e una maggiore propensione al confronto orizzontale, all’autonomia e alla responsabilizzazione dei dipendenti.

Sono già otto su dieci le realtà che conoscono o sono interessate a utilizzare questo modello in futuro, mentre in quasi un’impresa su due sono nati processi partecipativi circolari spontanei e strutturati (il 45%), di cui circa la metà ha messo a disposizione spazi fisici e ore dedicate a queste iniziative. Un approccio che promuove una responsabilità diffusa e un nuovo modo di valutare l’errore sul posto di lavoro, che ben il 44% delle aziende non vede più come un danno ma come una fonte di apprendimento e miglioramento.

Ma l’applicazione concreta di una struttura organizzativa circolare e partecipata stenta ancora a diffondersi: è presente in appena il 4% delle aziende. Soltanto quattro realtà su dieci, inoltre, stanno mettendo in campo iniziative per modificare il proprio modello organizzativo e solo il 6% si sta muovendo verso un modello circolare. La responsabilità diffusa necessita, poi, di un management con competenze diverse, in grado di ispirare fiducia e motivare i dipendenti, e infatti la competenza motivazionale è quella più richiesta ai leader (indicata dal 62% degli HR professionals), ma solo un manager su quattro possiede questa abilità e il sentimento prevalente fra quadri e dipendenti è la paura (13%).

«Dall’indagine emerge un forte bisogno di cambiamento da parte delle imprese, che però nella maggior parte dei casi restano ancora legate a modelli organizzativi tradizionali – commenta Marco Ceresa, Amministratore delegato di Randstad Italia –. L’organizzazione partecipata e circolare, infatti, si presenta come un trend solo potenziale, non ancora largamente applicato, ma che inizia a essere preso in considerazione. Passare da un modello gerarchico a una struttura circolare è una transizione obbligata per le aziende che vogliono prosperare, perché una forza lavoro deresponsabilizzata, priva di autonomia, che esegue direttive calate dall’alto e non condivise, ha un impatto fortemente negativo sulle performance e sulla capacità di innovare delle imprese».

«La valorizzazione dei processi circolari e partecipati fra i professionisti è un aspetto ancora sottostimato in Italia - afferma Caterina Gozzoli, direttore dell’Alta Scuola in Psicologia A. Gemelli dell’Università Cattolica -. Dalla ricerca, infatti, emerge che nella quasi totalità delle aziende mancano tempi e luoghi in cui far circolare informazioni, idee e ipotesi progettuali, ma soprattutto in cui condividere il senso degli oggetti di lavoro. Allo stesso tempo è evidente la carenza e la desiderabilità di un’organizzazione più circolare, i cui manager non abbiano paura dei processi partecipativi e del conflitto e si fidino dei collaboratori, che a loro volta possano portare idee e contributi conoscitivi. Ancora emerge una specifica cultura aziendale che stenta a considerare l’errore parte inevitabile del processo di crescita professionale e organizzativo».