di Paolo Branca *

La scrittura nasce tardi, relativamente alla presenza degli esseri umani sulla Terra, così come per ciascuno di noi l’apprendimento delle lettere dell’alfabeto è successivo a quello del linguaggio parlato e non è detto che tutti ci arrivino (per millenni gli analfabeti son stati la gran maggioranza della popolazione). Su ciò che utilizziamo quotidianamente, tuttavia, siamo poco propensi né troppo sollecitati a riflettere. Ed è un peccato, poiché lo strumento più sofisticato che ci contraddistingue dalle altre creature è appunto il linguaggio. Ogni parola ha la propria storia, celata nei mutamenti subiti attraverso il tempo e ormai lontana dalle proprie radici, ma talvolta lo sforzo di andare ‘oltre’ il mero senso attuale e specifico di un termine riserva sorprese affascinanti. 

“Superstizioni” è un caso emblematico: comunemente lo utilizziamo ormai per indicare credenze di tipo magico legate a scongiuri o altre forme di protezione dalla malasorte. Non è però difficile stabilire un legame fra questa parola e “superstiti”. Ne deriva la consapevolezza che tali riti arcaici servivano soprattutto per allontanare malanni e morte dai neonati (che spessissimo non sopravvivevano a lungo a causa delle condizioni igieniche e delle scarse conoscenze mediche) i quali così potevano “sopravvivere” e diventare grandi. Oggi guardiamo alle superstizioni con scetticismo, ma qualcosa pur ne rimane se addirittura a bordo dei più moderni mezzi di trasporto, gli aerei, non di rado possiamo constatare che le file 13 e 17 sono “saltate” onde evitare di mettere a disagio qualcuno che ancora crede al potere negativo di tali cifre.

Per restare legati all’attualità di un mondo sempre più diviso e conflittuale su basi etnico/culturali e persino religiose non sarà male mettersi all’ascolto delle lingue più diffuse nell’area mediterranea per scoprire che “cantiamo” le stesse note, i medesimi suoni, elencati nell’identico ordine in quelli che non a caso chiamiamo alfabeti, dalle prime due lettere che vi ricorrono anche se pure le successive rispettano la simile sequenza più evidente nel vecchio termine “abecedario.

Si parte probabilmente dal fenicio: aleph, bet, giml, dalet (toro, casa, cammello, porta) per passare al greco (“Io sono l’alfa e l’omega”), all’ebraico (alef, bet, ghimel, dalet), al latino e all’arabo (alif, ba, jim, dal).

A scuola ce lo dicono, ma quasi en passant, ed è qualcosa che resta inconsapevolmente in noi, salvo emergere fortuitamente con sorpresa, senza però più incidere su più sedimentate impressioni di differenziazione dalle quali è facile scadere in destini di opposizione.

Affascinanti ma troppo complesse e talvolta astruse sono le teorie che di tempo in tempo si sono susseguite ed affinate per trovare la ragione di tale condivisa successione, probabilmente dal legame di ogni lettera con costellazioni o altri corpi celesti sui quali gli antichi fantasticavano volentieri non avendo altri spettacoli notturni artificiali dietro i quali perdersi attendendo il sonno. 

Eppure è tanto bello andare a caccia nel bosco delle parole e delle espressioni usate da secoli, ma ancora da scoprire! Si potrà persino divertirsi constatando che sarebbe stato assai bizzarro da parte di Gesù immaginare che un “cammello” potesse ipotizzare di attraversare la cruna di un ago e che per un errore di trascrizione una ‘fune’ è diventata ormai in un detto proverbiale la simpatica ma voluminosa “nave del deserto” che, almeno per via delle sue gobbe, non si avventurerebbe per troppo angusti pertugi. 

Che dire poi del celeberrimo “scacco matto”? Abiti o disegni a scacchi appunto dalla tavola a quadri bicolori su cui disponiamo i pezzi prendono il loro nome, ma la scacchiera da chi ha preso il suo? E poi perché mai “matto”? Il Re ormai braccato impazzirebbe a causa dell’umiliante sconfitta? L’origine è persiano-araba e precisamente dal nome del sovrano iranico shah (il Re appunto) e dal verbo arabo māta (è morto). Che poi il pezzo più mobile e potente sia la Regina che gli sta accanto (una femmina in campo) è una curiosa sostituzione dell’originale visir (ministro) adottata dalle corti medievali in cui a fianco regnante stava la sua sposa, non certo però sul terreno di battaglia!

Potenza dell’immaginario simbolico d’ogni epoca e saggezza di chi estrae dal suo tesoro “cose antiche e cose nuove”, magari per scoprire che le novità, per vari aspetti diverse da come ci appaiono ora, c’erano già e che la vera meraviglia sta negli occhi con cui le guardiamo.

* Docente di Lingua e letteratura araba, facoltà di Lettere e filosofia