di Francesco Tedeschi *
Caro Giuseppe Lupo, non sono d’accordo con te, nel giudizio implicitamente negativo che dai all’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan. Non faccio una questione di paragone con altri scrittori, poeti o drammaturghi, ma di apprezzamento del valore culturale e artistico di Bob Dylan e del significato che il premio ha avuto nei suoi confronti.
È indubbio che il Nobel a Bob Dylan ha il carattere di un ulteriore segno di riconoscimento nei confronti di un’area culturale e di un genere artistico difficilmente delimitabile. Bob Dylan è stato ed è un grande poeta che si esprime nella forma musicale; non si può dire che la considerazione della sua opera possa essere scissa fra i testi delle sue canzoni e l’ambito musicale nel quale dà ad essi forma. Le due cose sono inscindibili e come dice la motivazione della giuria di Stoccolma Dylan è stato premiato per “aver saputo dar forma nuova alla canzone americana…”, collocandolo giustamente nella storia di un genere che si innesta in una tradizione popolare, in parte anonima, ma che vede suoi diretti precedenti in Hank Williams, Woody Guthrie, Johnny Cash.
Sono tra coloro che hanno salutato con grande piacere e soddisfazione il Nobel a Dylan perché si tratta di uno dei maggiori segnali di “sdoganamento” della musica rock, che costituisce a tutti gli effetti una delle più importanti e originali forme artistiche e culturali che il Ventesimo secolo ha generato. Non si tratta di valutazioni che derivano da osservazioni di natura sociologica o generazionale – qualcuno ha parlato di premio alla “nostalgia”, di un’epoca giovanile o giovanilista che tra gli anni Sessanta e Settanta ha posto il conflitto generazionale al centro della scena, ma di entrare nel merito.
Dylan è universalmente e giustamente riconosciuto come il maggior cantautore o cantore di storie, attraverso una delle correnti proprie della musica rock. L’invenzione e la scrittura di storie e di testi lirici, con toni introspettivi più che epici, è il nucleo generante della sua creazione artistica. La struttura della forma –canzone è stata da lui rivista e reinventata a partire dal 1963-64, non tanto, forse, nelle canzoni che hanno avuto la maggior fortuna e hanno saputo interpretare al meglio una condizione condivisa di quegli anni, ma nelle “ballate” (il “ballad” inglese ha un significato più complesso, non rimandando immediatamente al passaggio a una possibile danza) in cui ha svolto narrazioni o tracciato profili e momenti esistenziali. Penso a Subterranean Homesick Blues, a Desolation Row, Ballad of a Thin Man, Sad-Eyes Lady of the Lowlands, fra le canzoni dei suoi primi anni, o a Tangled Up in Blue e Idiot Wind, da quel capolavoro che è Blood on the Tracks (1975), e giungere a successivi felici creazioni, come quelle raccolte negli album Infidels (1983) o Time Out of Mind (1997), di primissimo livello. In queste Dylan è erede di Melville, Whitman, Steinbeck, Kerouac. Ciò che rappresenta è una forma di “controcultura”, destinata, come quasi sempre per le innovazioni espresse nelle forme migliori, ad affermarsi come “cultura” a tutto tondo.
Il tema della definizione della letteratura non è certo di pertinenza dell’ambito disciplinare di cui mi occupo, ma posso dire che proprio per effetto di molte forme di relazioni che si sono rese sempre più evidenti, l’ambito dell’arte contemporanea ha sempre più accolto sollecitazioni dalla musica rock, come dimostrano le qualificazioni in campo visivo e l’importanza di esposizioni come quella dedicata a David Bowie (David Bowie Is), promossa dal Victoria & Albert Museum di Londra nel 2013 (e in questo periodo ospitata dal Museo d’Arte Moderna di Bologna), o quella che lo stesso museo di Londra ha dedicato in questi mesi ai Pink Floyd, o ancora quella che ha ospitato negli scorsi mesi il Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona, dedicata al Punk e alle sue relazioni con l’ambito artistico e visuale.
Dal cinema, all’arte, alla letteratura, la musica rock si è imposta come ambito espressivo che, con la sua specificità, si è andato estendendo in molteplici direzioni, non potendo limitarsi a fenomeno sociale, di pertinenza della musica popolare e commerciale.
Nello specifico, Dylan merita di essere ascoltato e letto con attenzione, ben oltre quello che pensa chi si limita a considerarne aspetti di costume che appartenevano a una generazione di qualche decennio fa. Non è certo l’unico autore di musica rock che meriti un’attenzione di tipo “letterario”, se pensiamo per esempio a Leonard Cohen o a Nick Cave. Anche se Cohen è più anziano di Dylan e ha all’attivo libri più apprezzati dalla critica letteraria dell’unico romanzo scritto da Dylan, Tarantula (che non raggiunge i vertici delle sue canzoni, come non li raggiungono i suoi dipinti), Dylan è indubbiamente l’iniziatore o almeno la voce più autorevole di un genere.
Non mi piace, per far riferimento anche ad altre perplessità avanzate in questi giorni su questo argomento, dire che la musica ha già i suoi “Oscar”, vale a dire gli MTV Awards e simili, perché quelli sono riconoscimenti settoriali, con impronta fortemente condizionata dall’industria culturale in cui sono coltivati. Dylan e la migliore musica rock meritano di entrare in un ambito di eccellenza che non si limiti al settore della canzone, perché rappresentano una delle forme di cultura “alta” a tutti gli effetti.
Si potrebbe forse ipotizzare, per il futuro, che si giunga a trasformare il Nobel “per la letteratura” in un Nobel “per la letteratura e le arti”, immaginando che possa essere un giorno attribuito a un regista cinematografico o a un artista visivo, ma per ora la letteratura si apre alla narrazione e alla scrittura in forma di canzone, senza che vi sia nulla di scandaloso, per il riconoscimento del valore artistico di quella natura di scrittura in forma lirica, narrativa, che Dylan ha saputo interpretare in modo assolutamente originale, inventando qualcosa che prima, in quella forma, non c’era. Un po’ come, qualche secolo fa, nacque la musica operistica.
* Docente di Storia dell’arte contemporanea nella facoltà di Lettere e filosofia