Una professione in grado di coniugare arti visive ed economia, due ambiti che spesso nel nostro Paese si fatica ad accostare in termini occupazionali e di ricavi. Eppure trovare un equilibrio tra queste due competenze è possibile, col risultato di valorizzare il prodotto culturale e, al contempo, generare valore economico.

Ne abbiamo parlato con Dario Bonetta - laureato al campus bresciano in Scienze dei Beni Culturali e Arte, spettacolo e produzione multimediale - oggi titolare della galleria A+B Contemporary Art, attorno alla quale ha radunato una scuderia di giovani artisti italiani e internazionali.

La tua figura professionale si colloca esattamente a metà strada tra il settore culturale e quello economico. Che cosa significa concretamente dirigere una galleria d’arte contemporanea? «L’attività di galleria si sviluppa su più fronti: quello della partecipazione alle fiere di settore in Italia e nel mondo, la progettazione e lo sviluppo di mostre personali e collettive presso la sede espositiva della galleria, il dialogo coi collezionisti, gli studio-visit alla ricerca di artisti con cui collaborare o per approfondire il confronto sulla produzione con quelli già rappresentati dalla galleria».

Come si svolge il tuo lavoro? «Si snoda su due binari paralleli, da un lato la costruzione di una linea identitaria della galleria attraverso una selezione coerente delle opere trattate, dall’altro l’elaborazione di un business plan e la gestione delle attività entro il budget prefissato. Per farlo occorrono competenze trasversali – storico-artistiche, economiche, linguistiche e di allestimento – ma prima ancora di tutto ciò, c’è una domanda da porsi all’atto di fondazione di uno spazio espositivo. “Che tipo galleria voglio dirigere? Quale tipo di arte voglio trattare?”.

Tu quale risposta ti sei dato? «Dal punto di vista della tecnica tratto sia pittura che scultura, ma scelgo di lavorare con artisti giovani – hanno tutti un’età compresa tra i 20 ai 40 anni - quindi si tratta di emergenti o mid career con un percorso ancora in divenire. Nel mio caso ho dunque optato per un programma da sviluppare nel medio-lungo periodo: non volevo una galleria rivolta al secondo mercato - ovvero quello che guarda alle aste dove passano artisti storici, già affermanti e con un percorso consolidato - bensì cerco di essere io a costruire un discorso culturale e identitario basandomi sulle miei idee in fatto di arte, selezionando quello che secondo me oggi sta accadendo di valido nel mondo della produzione artistica, le tendenze che, potenzialmente, saranno in grado di mantenere senso e valore anche in futuro. Per farlo occorre una capacità di doppia lettura dell’opera, che dev’essere osservata nella sua attualità ma anche in prospettiva cronologica. In virtù di questo le vendite sono il frutto di un processo basato sul rapporto di stima, dialogo e confronto coi collezionisti. Si cammina e cresce insieme».

Mercato italiano e internazionale, varia l’approccio? «La prospezione di qualunque mercato è un processo e come tale è in evoluzione. Assieme ai miei artisti, sia italiani che stranieri, abbiamo lavorato negli anni per costruirci una reputazione. Dall’essere una piccola realtà siamo gradualmente cresciuti e lavoriamo per crescere ancora, ognuno evolvendo nel proprio ruolo. Si cerca di essere competitivi con proposte di livello internazionale, poiché oggi il mercato si gioca a livello globale. Le manifestazioni fieristiche di settore che si svolgono sia in Italia che all’estero sono una piazza imprescindibile per proporre i propri artisti e intercettare la domanda internazionale, oltre che per incontrare altri attori del sistema con cui tessere relazioni e collaborazioni».

Non siamo nell’ambito dell’indispensabilità, il tuo è un mestiere che si rivolge a una nicchia, sia culturale che di mercato. Quali, dunque, le previsioni per il settore, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca sanitaria e internazionale? «È troppo presto per fare previsioni, il settore è ancora nell’anticamera del ciclone. Quello di cui tuttavia sono personalmente certo è che - a differenza di altri segmenti commerciali o categorie merceologiche che hanno trovato parziale riparo negli strumenti digitali, dai virtual tour all’e-commerce - l’esperienza de visu con l’opera d’arte non la sostituisci con nulla».

Tra le competenze acquisite sui banchi universitari, quali si sono rivelate fondamentali per la tua attuale professione e quali invece reputi di dover continuare ad aggiornare? «Ci sono una serie di corsi e materie legate all’analisi dell’opera d’arte che ho considerato e considero tutt’ora fondamentali per il mio percorso formativo. Psicologia dell’arte, filosofia, teoria e tecnica della comunicazione, storia della critica d’arte… mostrano un ventaglio di sguardi diversi sull’arte e mi hanno insegnato l’importanza di modalità di analisi basate più sul “sentire” e “percepire” le opere, che non su nozioni storico-tecniche. L’aggiornamento consta poi nel far esperienza continua delle opere nei musei, nelle gallerie d’arte, alle fiere di settore, all’interno delle chiese, al cospetto di architetture. Vivere l’arte, coltivarne la passione e proseguire nella conoscenza di nuove espressioni sono tutte azioni di primaria importanza».

Qualche suggerimento per gli studenti che aspirano a lavorare nel tuo settore? «Frequentare l’ambiente, i collezionisti, gli artisti è il solo modo per costruire gradualmente un proprio approccio alla professione. C’è molto da imparare dalle tante e diverse visioni delle persone che animano il comparto: si trovano voci scientifiche e accademiche, quelle che ragionano in base a un vincolo economico e d’investimento, quelle spiccatamente critiche e di stampo storico-comparativo o quelle di chi è cresciuto naturalmente immerso nell’arte grazie al contesto familiare, voci nazionali e internazionali. Il dialogo e il confronto con tutti questi aspetti, nessuno escluso, permettono di mantenere il giusto equilibrio tra poetica e mercato. La prima è fondamentale, ma escludere quest’ultimo è un’azione snob, occorre considerare la vendita di un’opera come un momento importante di scambio, un modo per dare riconoscimento al lavoro degli artisti, un processo di condivisione d’idee e fiducia tra gallerista e collezionista».