Un giorno è la tassa sulle merendine. Un altro è la volta dell’aumento dell’Iva o della revisione dell’Irpef. Il fisco è un tema ricorrente nei talk show, nei giornali e nelle agende politiche. Eppure sono quarant’anni che l’architettura del sistema fiscale italiano non viene rivista nella sua complessità e nella sua generalità e le uniche modifiche apportate sono state perlopiù marginali.

Ma qual è il futuro del fisco italiano? È possibile una sua ristrutturazione in linea con l’andamento dell’economia, in grado di interpretare i bisogni dei cittadini indipendentemente dalla smania di accaparrarsi consensi elettorali? Sono alcune questioni su cui dialogheranno i partecipanti al convegno: Redesigning the Italian Tax System. Il sistema fiscale italiano: verso una nuova architettura, in programma lunedì 2 dicembre dalle ore 9.00 nell’Aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (largo Gemelli, 1 - Milano), promosso congiuntamente dall’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (Assbb) e dal Laboratorio di Analisi Monetaria (Lam).

«A fronte degli accadimenti che si sono succeduti in questi ultimi decenni, ci è sembrato doveroso affrontare il tema cercando di convocare esperti non solo italiani ma anche stranieri provenienti da università europee per dibattere i principali aspetti riguardanti la possibile revisione del sistema fiscale italiano», spiega Marco Lossani, direttore del Lam e docente di Economia internazionale nella facoltà di Economia dell’Ateneo.

 

«Negli ultimi anni sono stati fatti tanti interventi marginali e spesso solo per accontentare qualche clientela, qualche gruppo di elettori con il risultato che il sistema ha perso sostanzialmente razionalità», spiega Massimo Bordignon, docente di Political and Public Economics, esponente dell’European Fiscal Board e tra i relatori al convegno. «Per fare qualche esempio: abbiamo un’imposta come l’Irpef che dovrebbe tassare tutti i redditi, ma in realtà tassa solo quelli dei lavoratori dipendenti; non siamo riusciti ancora a riformare il catasto; abbiamo eliminato delle imposte e poi ne abbiamo create altre identiche a quelle precedenti; abbiamo spese fiscali irrazionali che non riusciamo a toccare… La lista sarebbe ancora più lunga. Bisogna quindi smetterla con interventi fatti all’ultimo secondo solo per raggranellare un po’ di soldi. C’è invece la necessità di cominciare a fare una riflessione complessiva su dove vogliamo andare e come vogliamo attuare una razionalizzazione del sistema fiscale che tenga conto delle modifiche strutturali dei nostri sistemi economici».

Va poi chiarito che in Italia la pressione fiscale – ossia la somma dei tributi e contributi – non è la più alta in Europa. Lo diventa, aggiunge il professor Bordignon, «rispetto ai servizi che riceviamo visto che la qualità della spesa pubblica è piuttosto bassa un po’ per inefficienza, un po’ perché spendiamo tanto in pensioni e meno in giustizia, sanità, istruzione. Senza contare che è mal distribuita: le stime ufficiali sull’evasione in Italia parlano di circa 140 miliardi di gettito perso all’anno pari all’8% del Pil».

L’integrazione crescente che lega il nostro Paese al resto d’Europa, inoltre, pone sempre più in primo piano la necessità di un coordinamento internazionale della fiscalità.

«La differenza e l’eterogeneità tra i paesi europei è talmente vasta che non avrebbe senso pensare a una uniformazione di tutti i sistemi tributari perché violerebbe la sovranità dei Paesi», osserva il professor Bordignon. «Quello che si potrebbe fare e sui cui si dovrebbe intervenire potrebbe essere, per esempio, una forma di tassazione condivisa per quanto riguarda società di capitale e redditi che si muovono in ambito europeo: in tal caso forme di armonizzazione fiscale sono assolutamente necessarie, anzi siamo già molto in ritardo, anche se ci sono proposte della Commissione e dell’Ocse che vanno in questa direzione».