di Armando Torno *

L’Attila era un’opera che aveva debuttato alla Fenice di Venezia il 17 marzo 1846 e figura non tra le maggiori del maestro di Busseto. Tuttavia, nel clima quarantottesco assunse un significato politico. D’altra parte, basti immaginare quanto accadde alla Scala la sera del 17 marzo 1848 quando la frase del duetto del primo atto tra il baritono Ezio e il basso Attila «Avrai tu l’universo, / resti l’Italia a me» si diffuse in sala, mescolandosi alla notizia dei moti che stavano scoppiando in ogni parte d’Europa e alla dipartita di Metternich.

Verdi era ormai considerato il compositore della riscossa nazionale e i suoi cenni all’Italia o alla patria, anche se lievi e a volte non espliciti, erano subito trasformati in un invito a inveire contro l’Austria, che garantiva gli equilibri degli Stati in cui era diviso il Belpaese. Per tale motivo Attila, da tragedia storica e romantica, dove si ritrovano capacità e forti energie del compositore di Busseto, si trasformò, senza che il musicista muovesse un dito, in un’opera dai significati patriottici. […]

L’opera dedicata ad Attila non nasce dunque con intenti patriottici, anche se qualcosa dell’amor di patria finì, dato il clima dell’epoca, nella partitura. […]

Quest’anno Attila inaugurerà la stagione della Scala 2018-2019 e la lettura che ne farà Riccardo Chailly si inserisce in una prospettiva più ampia di quello che può essere un giudizio musicologico. Il maestro, per il teatro milanese, sta affrontando, analizzando, ripensando con una trilogia il primo Verdi: dopo Giovanna d’Arco (2015) tocca al re degli Unni e tra non molto sarà la volta di Macbeth. Il prossimo 7 dicembre inserirà l’aria scritta per Moriani da Verdi e quasi sicuramente scoprirà qualcosa che porterà nuova luce sul compositore e sul suo metodo creativo.

L’autore di opere popolari che hanno conquistato i cuori e suscitato entusiasmi, va cercato anche in alcuni angoli segreti, giovanili, sovente dimenticati. Lì rivela magari un dettaglio che consente di meglio comprendere pagine ormai troppo note e quasi impossibili da analizzare. Chailly, per dirla in breve, sta cercando questo e lo persegue con metodo e senza curarsi dei giudizi che si sono accumulati nei decenni. Del resto, un’opera come Attila, abituata a essere fraintesa o eseguita con energia, ha bisogno di ripensamenti. Magari non rivelerà altri aspetti patriottici, in essa forse si scopriranno alcune ruvidezze del maestro di Busseto, comunque resta un documento prezioso per capire uno dei grandi musicisti in quel periodo della sua vita che è noto come “gli anni di galera”. E del quale c’è ancora molto da studiare.

* giornalista culturale. L’articolo riprende alcuni stralci dell’articolo “E con l’Attila di Verdi prese il volo il risorgimento”, pubblicato sul numero 4/2018 di Vita e Pensiero (scarica la versione integrale)