di Raul Caruso*

L’economia della pace è una branca dell’economia che ci aiuta a capire le cause e le determinanti dei conflitti armati, oltre che di altre forme di violenza, ma anche a individuare le misure di politica economica finalizzate alla rimozione delle cause dei conflitti violenti.

L’economia della pace ha una dimensione macro e una dimensione micro. Esiste, infatti, un uso della violenza tra Stati a livello macro, che influenza la loro politica estera e le loro politiche economiche. e un uso della violenza a livello micro, in seno alle società nei rapporti tra Stato, gruppi sociali e cittadini. In particolare, a livello macro l’economista della pace studia gli aspetti economici della rivalità tra Paesi, la corsa agli armamenti e il commercio di armi, laddove nell’analizzare i livelli micro gli economisti della pace studiano le cause della violenza politica, dei fenomeni criminali ma anche delle politiche che risultano vincenti nel limitare queste patologie delle nostre società.

Obiettivo finale per l’economista della pace, infatti, è spiegare in maniera compiuta le politiche per garantire una prosperità economica che duri nel tempo. Secondo l’economia della pace, lo sviluppo economico nel lungo periodo, è legato all’espansione della pace. Le società e i sistemi fondati sulla violenza perpetrata in maniera continua dallo stato o dai cittadini sono destinati al declino. In particolare, a dispetto dell’opinione popolare e del senso comune, la guerra non contribuisce allo sviluppo e alla crescita economica, ma – al contrario costituisce un freno significativo allo sviluppo nel lungo periodo.

L’Unione Sovietica è stato un esempio eccezionale di economia di guerra e di uso sistematico della violenza: era una società controllata in maniera capillare da diversi corpi di polizia; spendeva con regolarità una quota superiore al 15% del suo Pil nella corsa agli armamenti e disincentivava in maniera sistematica l’attività economica produttiva. Non è stata una sorpresa, infatti, che l’Unione Sovietica sia implosa, frammentandosi e mostrando poi a tutto il mondo i suoi livelli di povertà. Anche la Germania nazista aveva un’economia estremamente fragile e Adolf Hitler e i gerarchi nazisti avevano, infatti, la necessità di giustificare e coprire i fallimenti in ambito economico insistendo sulla retorica razzista e militarista che pervadeva la vita della società tedesca. 

Tra gli esempi storici di successo della pace e del conseguente sviluppo vi è quello dell’integrazione europea successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio nel 1951 e della Comunità economica europea nel 1957 rispondevano, in primo luogo, all’imperativo categorico della ricostruzione fisica e ideale di un continente devastato dal conflitto mondiale e poi alla costruzione di un’area di benessere economico in grado di eliminare gli incentivi al conflitto tra i paesi europei. In breve, le misure economiche adottate nel processo di integrazione avevano quale fine ultimo quello di pacificare il continente. Il processo di integrazione economica europea, pertanto, nasceva come una missione di pace. A dispetto delle difficoltà e delle fasi di stallo che hanno caratterizzato e che ancora caratterizzano il processo di integrazione europea, l’obiettivo della pacificazione tra paesi è stato raggiunto e l’Unione europea è attualmente una delle aree di maggiore benessere nel mondo.

L’economia della pace quindi impone per molti aspetti un cambio di paradigma nella politica economica. Se interrogati sulla questione, molti economisti tradizionali indicheranno la crescita economica come condizione necessaria (e alcuni forse anche come sufficiente) della pace.

È chiaro invece che l’economia della pace capovolge tale impostazione. La pace è condizione necessaria e sufficiente per la crescita e lo sviluppo. In termini concreti, infatti, l’economista della pace invita i policy-maker a considerare la costruzione della pace oltre alle tradizionali variabili economiche di riferimento come il Pil. L’economia della pace è quindi la base da cui partire per favorire la prosperità e il benessere delle società.

*autore del volume "Economia della pace" (Il Mulino), insegna presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica ed è direttore del Network of European Peace Scientists e della rivista Peace Economics, Peace Science and Public Policy