di Sofia Chignola *

È una frase che ho sentito pronunciare pochi giorni prima del mio rientro in Italia ed esprime la mia esperienza di Charity Work Program in Terra Santa: «A Gerusalemme c’è tutto». C’è tutto? Tutto cosa? - mi sono chiesta.

«Tutto… tutto» risponde con aria rapita Beatrice, una ragazza giunta in Israele per imparare l’ebraico. E, per quanto conciso ed enigmatico, “tutto” è ciò che si può trovare in questo luogo. Il centro di una terra “dove scorrono il latte e il miele” ma sempre, implacabilmente, arida ed assolata. Germoglio e frutto delle tre grandi religioni, luogo per eccellenza d’incontro e scontro. Una terra dove i miracoli si realizzano nel sì quotidiano delle persone, quello dei tanti volontari, suore, sacerdoti, genitori, che di fronte a una realtà faticosa, coltivano il futuro che hanno tra le mani quando prendono in braccio, mettono a dormire, danno da mangiare ai piccoli bambini dell’asilo nido.

Dal più piccolo di nove mesi, i primi passi mossi proprio al nostro arrivo, ai più grandi di tre-quattro anni: sono questo i protagonisti delle nostre tre brevissime settimane. Il centro, ospitato nel complesso del convento dei Cappuccini e gestito dal Patriarcato latino dei cattolici di lingua ebraica, è dedicato alle famiglie di migranti. La maggior parte di loro provengono da Eritrea, Etiopia, Filippine e Sri Lanka. L’asilo nido accoglie circa 25 bambini e vi lavorano una decina di volontari e suore.

Durante il giorno il nostro incarico era di aiutare i responsabili che lavorano lì tutto l’anno. Alla mattina, spazio per giochi e attività, seguiti dal pranzo e dal sonnellino pomeridiano, di cui approfittavamo per fare la nostra pausa pranzo. Nel pomeriggio, merenda e giochi fino all’arrivo dei genitori. Intrecciare relazioni con i bambini e con gli altri volontari ha rappresentato una splendida occasione per rinfrescare le nostre conoscenze linguistiche, oltre che per aggiungere uno scarno ma utile vocabolario di lingua ebraica.

Abbiamo poi cercato di sfruttare al meglio i weekend, tenendo conto anche del sabato, che in Israele immobilizza gli spostamenti. È stato bello approfittare dei giorni liberi cercando di andare al di là dei sentieri prettamente turistici, e in alcuni casi sfidare l’ignoto andando nei Territori palestinesi, con tutte le incognite che essi presentano. In altre occasioni abbiamo potuto assumere uno sguardo più attento alla spiritualità, visitando tanti luoghi della Bibbia, ma anche trascorrendo un’intera notte all’interno del Santo Sepolcro.

Solitamente la Terra Santa non è come ce la si aspetta. Anche nel nostro caso siamo state sorprese, soprattutto rispetto alla nostra concezione di volontariato. Questo genere di esperienza è infatti generalmente associato a situazioni di profondo bisogno materiale, mentre dove ci trovavamo la povertà non era evidente. La mancanza maggiormente sentita è invece quella di risorse umane, soprattutto negli ambienti dedicati all’educazione e alla formazione. 

I bambini crescono in ambienti familiari difficili, con famiglie numerose dove in molti casi è presente un solo genitore e lo stile educativo è più propenso a un laissez-faire che a un ruolo attivo nella loro crescita. Aggiungendo anche un contesto sociale ed economico poco stimolante, è naturale la presenza di alcuni “bambini difficili”, per i quali però non è disponibile un’assistenza mirata. In questa situazione, il lavoro svolto dal Centro è una goccia in mezzo al mare, ma tanto piccola quanto preziosa, come testimoniano le lunghe liste d’attesa per iscrivere i propri figli a questo asilo. Sì, a Gerusalemme c’è tutto e io mi auguro di potervi ritornare.

* 21 anni, di Verona, studentessa del terzo anno del corso di laurea triennale in Esperto linguistico d’impresa, facoltà di Scienze linguistiche, campus di Brescia