Per molti è solo una lingua morta. Ma per le aziende può essere un plus (letto alla latina). E in alcuni casi il buon vecchio latino può essere una vera e propria risorsa per chi è alle prese in ambito lavorativo con situazioni complesse. Ne è una riprova il successo che da alcuni anni sta riscuotendo tra gli studenti delle scuole superiori lombarde, e non solo, l’iniziativa promossa dalla Consulta dei professori universitari di latino (Cusl).

In accordo con l’Ufficio scolastico regionale e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, la Cusl ha dato vita a un test che, similmente agli Esami Cambridge ESOL, certifica il livello di conoscenza linguistica della lingua di Cicerone. Una certificazione che fa curriculum anche agli occhi delle aziende, perché il latino insegna a ragionare in modo logico, quello che nel mondo del lavoro si chiama “problem solving”. Basti pensare che le iscrizioni al test del 2016 hanno superato i 750 candidati, di cui una novantina hanno sostenuto la prova per ottenere il loro “patentino” nel campus bresciano dell’Università Cattolica. Le altre sedi del test erano Bergamo, Como, Mantova, Milano (in cinque licei) e Pavia.

«L’importanza dell’iniziativa – ha spiegato il professor Guido Milanese, uno dei due responsabili nazionali della Cusl per la didattica del latino e professore alla facoltà di Scienze linguistiche dell’Università Cattolica –, consiste nel fatto che si vuol far comprendere che il latino è una lingua vera, non una raccolta di regole fini a se stesse».

Nel campo dell’insegnamento delle lingue straniere moderne da ormai molti anni è prassi costante attestare, attraverso modelli di valutazione la cui serietà è attestata da un ente certificatore, il livello di apprendimento linguistico di uno studente. Lo testimoniano, solo per citarne alcuni, il DELF per il francese, la serie delle attestazioni del Cambridge ESOL2 o il corrispondente set TESOL/TEFL del Trinity College London, l’articolata serie di certificazioni del Goethe Institut4, senza dimenticare l’attività ormai intensa nella certificazione dell’italiano come “lingua 2”.

Queste valutazioni ottengono in sostanza due risultati: da una parte, in un ambiente internazionale in cui non esiste il concetto di “valore legale” del titolo di studio, l’autorevolezza degli enti certificatori garantisce che le competenze linguistiche dichiarate in una domanda di lavoro corrispondano a una effettiva qualità; dall’altra, didatticamente, la preparazione per la certificazione ottiene forte impatto motivazionale per gli studenti.

Per quanto riguarda il latino, ci sono vari modelli a livello internazionale, ma in Italia solo da pochi anni si è iniziato a lavorare in questo senso. «La prova non consiste, se non al livello più alto di competenza) in una traduzione, bensì in esercizi che mostrino la comprensione del testo e la capacità di lavorare sulle strutture linguistiche del latino – ha aggiunto il professor Milanese –. La traduzione, come in tutte le altre lingue, è un punto di arrivo, non un punto di partenza: questo errore è una delle cause della disaffezione verso il latino, che viene interpretato come una specie di non-lingua, come avverrebbe se si insegnasse il tedesco come una serie di regole miranti solo alla traduzione dal tedesco in italiano. Speriamo che questa iniziativa possa aiutare a mutare un modello didattico assurdo e inefficace». Ad maiora.