di Martina Vernuccio *
Avevo bisogno di qualcosa di nuovo, che mi mettesse alla prova. Pur non avendo esperienze di volontariato alle spalle, ho capito che il Charity Work Program poteva fare al caso mio. Certo, dopo essere stata selezionata, insieme a un po’ di euforia ho provato anche l’ansia di non essere all’altezza. Ma poi sono partita.
Dopo circa 8 ore di volo arriviamo ad Addis Abeba, una città che immaginavo diversa. Nelle vie principali grandi palazzi, mai terminati, ancora in fase di costruzione, nelle vie laterali schiere interminabili di baracche di lamiera. Questo è quello che mi ha colpito maggiormente, per il resto la ricordo come una città caotica e polverosa, un continuo via vai di macchine e persone.
Tutt’altro l’ambiente trovato alla missione di Debre Behran: un complesso che comprende oltre alla scuola materna, anche le elementari e la scuola media. Mi ha colpito subito la gentilezza e la premura delle suore e di tutte le persone che hanno fatto parte di questa meravigliosa esperienza. La scuola non è iniziata subito, ma dopo circa una settimana, permettendoci di esplorare e ammirare in tutta la sua bellezza questa terra. Sono rimasta affascinata dal paesaggio etiope, caratterizzato da distese interminabili di verdi altipiani, costellati da piccole casette di paglia e fango dalla forma circolare.
Debre Behran è una città che offre praticamente tutto quello di cui si ha bisogno: non lontano dalla missione si raggiungeva il mercato, il luogo degli scambi, in cui disordine e caos regnavano sovrani. Dopo il primo impatto, a poco a poco ho iniziato ad amare la vivacità e la dinamicità che lo caratterizzava.
Con l’inizio della scuola, è iniziato ufficialmente il nostro lavoro. Al mattino e al pomeriggio eravamo impegnate nell’organizzazione delle attività per i più piccoli, i bambini della scuola materna. Pur non parlando la stessa lingua, questi piccoli sono riusciti a regalarci un immenso affetto in pochissimo tempo. Talvolta le barriere linguistiche sembravano insormontabili, ma poi bastava un sorriso, un abbraccio, una stretta di mano per rendere subito tutto più semplice. Trascorrendo le nostre giornate con loro siamo finite inevitabilmente per affezionarci sempre di più.
Tutti i bambini della scuola, dai più piccini ai più grandi, sono ciò che porterò per sempre nel mio cuore. Ricordo che i primi giorni provavo un grande senso di impotenza, non sapevo bene cosa fare, come renderli felici. Avevamo portato con noi grandissime scorte di caramelle, bolle di sapone, palloncini, album da colorare e tutto ciò che potesse rendere felice un bambino. Ma poi, a poco a poco, mi sono resa conto che in fondo non erano tanto i giochi a renderli felici, ma piuttosto la nostra presenza.
Ci saranno due ragazzi che non smetterò mai di ringraziare per averci fatto conoscere più da vicino la cultura etiope: Leul e Dyian, due ragazzi rispettivamente di 18 e 17 anni. Hanno sicuramente reso questa esperienza ancora più speciale: sono loro che ci hanno accompagnato a esplorare la città e il mercato, che ci hanno tenuto compagnia durante le giornate e che ci hanno aiutato coi più piccoli quando la barriera linguistica era troppo difficile da superare. Ricorderò sempre il giorno in cui io e Alessandra fummo invitate dalla loro mamma per merenda. In quei momenti ciò che più notavo era la genuinità e la bontà di queste persone, così accoglienti e calorose, che facevano di tutto per farci sentire a casa.
E poi, da ultimo, ma non per importanza, ricorderò sempre tutte le suore che hanno avuto ognuna un ruolo diverso all’interno di questa esperienza. Ognuna di loro avrà sempre un posto nel mio cuore. Non dimenticherò mai con quanta attenzione e premura si sono prese cura di noi, sempre preoccupate che stessimo bene e che mangiassimo abbastanza. Sono delle donne straordinarie, forti e tenaci, che dedicano tutte se stesse a rendere migliore la vita del prossimo. Mi ha particolarmente colpita la passione e l’impegno che mettono in tutto quello che fanno. Suor Sandra, per esempio, una delle prime ad arrivare dall’Italia, si trova all’interno della missione da ben 45 anni e mostra ancora oggi una forza e una tenacia veramente fuori dal comune. Se c’era una cosa che amavo particolarmente erano i suoi numerosi aneddoti, che amava raccontarci sempre durante il pranzo e la cena.
Sono felice di aver vissuto a pieno questa esperienza, ho fatto tesoro di ogni singolo momento, che adesso inizio pian piano ad elaborare. Sono partita avendo l’idea di dover fare qualcosa, di aiutare più che potevo i bambini, ma devo ammettere che sono proprio loro ad avere aiutato me e ad avermi dato tanto. Sono tornata in Italia arricchita di emozioni e sensazioni che non provavo da tempo. Ho imparato a dare la giusta importanza ad alcune cose e a non dare per scontato tante altre.
Ricorderò sempre la malinconia del giorno in cui siamo partite per fare rientro in Italia e l’immensa tristezza nel salutare i bambini, Leul e Dyian, le suore e tutti quelli che sono entrati a far parte di questa magnifica avventura. Sono rientrata in Italia con il dispiacere di avere lasciato l’Etiopia e il suo popolo meraviglioso ma con la speranza di poter tornare ancora un giorno.
* 25 anni, secondo anno di Scienze linguistiche, indirizzo Management internazionale, facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere
http://milano.unicatt.it/facolta/scienze-linguistiche-e-letterature-straniere