di Ilaria Canonico *

Sono stata nelle Filippine due mesi e prima di luglio: non ero mai stata fuori dall’Europa, non avevo mai fatto uno scalo, cambiato valuta, o atteso al Gate qualcuno che non conoscessi. Per chi viaggia spesso possono sembrare delle sciocchezze, ma quando sono arrivata nella mia stanzetta ero davvero molto orgogliosa di essere riuscita fare tutto da sola e senza problemi. Ed era solo l’inizio!

Manila è una città molto diversa da quelle cui siamo abituati: ci sono fast food in sequenza per chilometri, le strade sono enormi, ma sempre intasate dal traffico, il clacson quasi sostituisce la radio, lo smog si deposita sul volto come la cipria, ma le persone camminano lentamente, senza fretta.

Ma ancora più diversa era la cittadina in cui vivevo e lavoravo. Vi era una serie di villaggi in cui le case erano tutte uguali; molte di esse avevano in veranda dei piccoli negozietti dove comprare beni di prima necessità o Street Food, e i bambini giocavano tutti insieme davanti alle porte delle loro case.

In questi posti è difficile che ci siano turisti europei o americani ed è stato sorprendente vedere con quanto entusiasmo mi hanno accolta. Tutti volevano scambiare anche solo una parola con me, conoscere il mio nome e non importava quante volte passassi davanti alle loro case perché mi salutavano sempre come se non mi vedessero da giorni.

Trascorrevo le mie giornate prevalentemente in ufficio per organizzare e preparare le lezioni di economia o nella bakery dove venivano prodotte e confezionate tortine, biscotti e pizzette deliziose che venivano poi portate alle scuole del circondario o di Manila. Ho partecipato a tante attività differenti, a conferenze, anche a una missione di assistenza medica sull’isola di Cebu.

Solitamente invece il sabato andavamo nella comunità di Trece Martires per fare attività di gioco con i bambini e quelli sono stati probabilmente i miei momenti preferiti perché giocando ogni tipo di barriera culturale cade e rimangono solo le risate e la voglia di conoscersi e divertirsi.

Nelle ultime settimane del mio soggiorno ho tenuto delle piccole lezioni di economia per le mamme dei ragazzi della comunità ed è stato bellissimo! Devo essere sincera non mi aspettavo una partecipazione così attiva, la loro voglia di fare e di apprendere è stata sorprendente. Si leggeva nei loro occhi la voglia di mettersi in gioco per loro stesse, le loro famiglie e la loro Nazione.

Le Filippine non sono un paese facile in questo momento: la politica e l'Isis hanno reso molti luoghi così pericolosi che anche le suore delle comunità locali hanno paura ad avvicinarsi per svolgere il loro compito di sostegno alla comunità. A mio parere è ancora un luogo tutto da scoprire.

Questa esperienza mi sarà davvero molto utile: la cultura e la realtà sono totalmente diverse dalle nostre e penso sia molto importante (ed entusiasmante) imparare a conoscerci e rispettarci soprattutto per abbattere i pregiudizi che spesso abbiamo verso gli stranieri.

Al mio ritorno molte persone mi hanno chiesto se vivendo il mio Charity Work Program non mi fosse sembrato di rinunciare alle vacanze estive. Ho mangiato del cibo buonissimo, ho avuto davanti agli occhi dei panorami mozzafiato, ho conosciuto moltissime persone e grazie alla tecnologia ho potuto parlare ogni sera con la mia famiglia e i miei amici: cosa si può volere di più?

Il volontariato non è un lavoro e non è nemmeno una vacanza: è un’esperienza di vita che tutti dovrebbero fare perché se, come nel mio caso, non ti cambia la vita, ti insegna moltissimo su te stesso, su come affrontare le nuove sfide con serenità e ottimismo e su come la più semplice delle azioni, un sorriso o un abbraccio, possano cambiare la giornata di un’altra persona.

* 23 anni, di Pecetto Torinese (To), laurea triennale in Economia e gestione dei servizi, studentessa del corso di laurea magistrale in Management dei servizi, interfacoltà Economia-Medicina, campus di Roma
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